How I live now - Come vivo ora



  “Mi piacerebbe sapere come ci si sente a diciassette anni. E anche a venticinque.
Ma se tutto questo passerà, finché il mondo non avrà fine, allora io vorrò essere qui. Qui con te.
È qui che voglio vivere.
Se invece non sarà così e tu non vivrai, neanche io vorrò vivere.”


How I live now contiene a mio avviso una delle più belle dichiarazioni d’amore che abbia mai sentito. 


Il film è una storia d’amore e di guerra. Ma non solo. È una storia sull’amore in guerra, ma non solo. È la storia di una crescita; è un romanzo di formazione, la formazione di un’adolescente e di un gruppo di adolescenti, che va a innestarsi nello scoppio di un’ipotetica e distopica - ma neanche troppo - terza guerra mondiale. La trama che si dipana potrebbe essere tranquillamente sovrapponibile a tanti altri film che hanno affrontato la seconda guerra mondiale o lo stravolgimento della vita in altri conflitti. Tuttavia, la trasposizione in un futuro prossimo - se non, scusate l’ossimoro, contemporaneo - fa la differenza. La differenza è nel tipo di adolescente che viene rappresentato: l’adolescente dei cellulari e dei social, quello della vita frenetica dell’oggi che rende tutti i ragazzi nevrotici, paranoici, ansiosi, in continua gara con l’altro e, in definitiva, privi di autostima. Il motivo è semplice: molti dei nuovi adolescenti si pongono gli obiettivi sbagliati: essere belli, impeccabili, perfetti, anche un po’ stronzi, perché l’essere antipatici e non scendere mai a compromessi regala un’aura di figaggine con cui molti amano vestirsi. Il problema è che a forza di costruire maschere fatte di capelli e trucco perfetti, abiti studiati e filtri su instragram, si perdono gli obiettivi reali e ci si ammala. Molti adolescenti di oggi si ammalano per nulla e poco sanno affrontare le vere sfide della vita. Quando le sfide si presentano si lasciano andare alla pigrizia o all’ansia.


Quando Daisy atterra in Inghilterra, spedita dal padre nella casa di campagna della zia e dei tre cugini, è esattamente così. Una ragazza che, per apparire perfetta fuori, seppellisce dentro di sé fantasmi che di smetterla di agitarsi non hanno alcuna intenzione. I pensieri paranoici nella sua testa sono più forti di lei, tanto da darle degli ordini o da spingerla a imbottirsi di calmanti.

In Inghilterra, però, si ritrova catapultata in una realtà completamente nuova, diversa, che lei di primo acchito ripudia: i cugini e la zia vivono in un cottage così immerso nella natura che non si capisce dove finiscano le mura e inizi la vegetazione o il fienile o il pascolo degli animali. Il caos - un caos buono, divertente, vitale - regna sovrano. I cugini di Daisy vanno a pescare, si buttano nel ruscello, camminano a piedi nudi nell’erba, hanno una capretta in casa. La ragazza, dal canto suo, teme virus, batteri, allergie, la sporcizia e perfino il cibo. Si nutre di acqua, pillole e pensieri negativi. Se Daisy rifiuta l’ambiente in cui vive, comincia però a cedere di fronte al cugino suo coetaneo, Edmund, un ragazzo dalla sensibilità particolare: ama e cura gli animali, si occupa dei fratelli e della casa, sa leggere nella mente delle persone e usa questa sua estrema empatia per aiutare chi ha intorno. Daisy non solo cede, ma crolla definitivamente di fronte a tanta purezza e a tanto amore che le viene donato in modo incondizionato. 

La vita vera, l’aria pura, l’energia scrosciante, l’assenza di filtri, il libero pensiero, la vitalità e il vitalismo sono tutto ciò di cui una persona, specie se adolescente, ha bisogno per vivere bene. E l’Eden ben presto si spalanca di fronte a Daisy, che vive un amore incontrollato con Edmund, e diventa realtà per tutti e quattro i ragazzi, che si ritrovano soli, senza la mamma, impegnata in una missione di pace a Ginevra, a formare una loro piccola comune: un luogo dell’anima perfetto. 

Sarà l’ordigno atomico che viene sganciato (da chi? Poco importa) su Londra a ridisegnare ulteriormente lo scenario di vita di Daisy. Non c’è nulla di più bello che vivere un amore così, grande e cristallino. Non c’è niente di più responsabilizzante e intimo e feroce e spiazzante  che vivere questo amore in mezzo alla follia della guerra. Dove il velo di Maya viene squarciato. Dove tutto finisce. Dove sopravvivere significa tenere in vita se stessi e soprattutto salvare chi alla nostra vita concorre a dare valore e serenità. 

L’adolescente perfettina e smorfiosetta, innamorata in mezzo allo sfacelo della morte e della violenza, si spoglia letteralmente di tutto, via il trucco, via le paure: l’obiettivo cambia. L’obiettivo è prendersi cura di. L’obiettivo è farcela a ogni costo, anche solo per sentire ancora una volta quel respiro condiviso, una bocca sull’altra, in una sera d’estate. 

Gli eventi estremi e tragici cambiano la vita di chiunque.  Occorre essere fermi per superare certe cose. How I live now pone l’accento su quali conseguenze può avere un determinato evento su una persona che tenta di omologarsi agli altri. Il risultato è che è impossibile vivere costruendo se stessi in funzione del giudizio che gli altri possono produrre. Edmund non giudica, ama. Si confronta, semmai, ma mai giudica. Ci vuole di mezzo una tragedia di proporzioni mondiali per togliere a Daisy tutte le paranoie e le  malattie. Ci vuole il dolore per capire la bellezza di un ruscello, di una nuvola, del volo di un’aquila e dell’intimità di due cuori che si dicono sì, nonostante tutto. Più che un film d’amore e guerra, How I live now è una terapia: e il finale lascia aperte  un’infinità di cure. Dovremmo aver capito, a quel punto, quale è la migliore per vivere davvero. 

Commenti

Maria D'Asaro ha detto…
Grazie, Veronica. Splendida recensione, come sempre.