Frozen II

 


Non pensavo si potesse fare meglio, eppure è successo. 

Frozen II non è un film perfetto, ma non lo è nemmeno il primo. Entrambi hanno un inizio zoppicante, in cui sembra che il film sia qualcosa… e invece poi vira e diventa qualcosa’altro: e proprio in quel qualcos’altro sta la bellezza e la novità dei Frozen. 


Il momento esatto in cui Frozen II vira e ci porta altrove è quello in cui Elsa si tuffa in mare e lotta con lo spirito dell’acqua, un cavallo, in una scena forse tra le più horror della Disney Pixar. Un vero e proprio battesimo, quello di Elsa, un battesimo che è una lotta, un affannarsi per andare giù e poi tornare su nuovi. Elsa cambia i capelli e perde pezzi del suo abito da regina. È nuova, ma non del tutto.

Domato il cavallo, entra in un ghiacciaio, alzando enormi colonne di ghiaccio e cercando lo spirito stesso del ghiaccio. Ancora non sa che è lei. La scenografia perde figurazione, tutto si fa bianco e astratto, le immagini diventano una semplice ma fenomenale orchestra di puri colori e puri segni. La canzone incalza. E solo arrivata al cuore - bollente - del ghiaccio Elsa scopre di essere lei stessa lo spirito che stava cercando. 

La ricerca era una ricerca interiore, era la ricerca di se stessi: Elsa non lo sapeva. Perché cercare se stessi non è così scontato e spesso lo si fa in un percorso di vita che sembra tutto’altro. Elsa ora è ancora più nuova: cambia abito, cambia pettinatura, è più potente. Ora sa andare al cuore di se stessa e non ha più paura di farlo, tanto che si spinge giù, giù in fondo a sé nel ricercare: tanto in fondo da sfondare i limiti di sé che più fanno paura, quelli dei ricordi indicibili e dolorosi. Quelli che ti bloccano e rischiano di ucciderti. Elsa, infatti, diventa una statua di ghiaccio di fronte alla verità. Inerme. Praticamente morta. 

È lì che occorre chiedere aiuto a chi ci ama. È proprio in quel momento che una persona straordinariamente normale come Anna interviene a risolvere la situazione. Quando chi è estremamente speciale si attorciglia e si imprigiona nella propria specialità, occorre che il fortunatamente umano e comune possa aiutare a risolvere il problema. 


Elsa e Anna sono complementari. Quando pensi che la protagonista sia una, ecco che la storia si rovescia e la protagonista diventa l’altra. Sono le facce di una stessa medaglia, dove normale e straordinario convivono: in una ricerca in cui Anna lotta per essere speciale e Elsa lotta per avere la sua normalità. In entrambi i casi è essere se stesse e mai anelare a essere altro da sé. 


Elsa e Anna, infatti, non hanno bisogno di nessuno per essere ciò che sono. E, se proprio dobbiamo ricavare un modello di comportamento da un film, che Elsa e Anna siano un modello puro e semplice: che insegnino ai bambini che essere se stessi è un dono che chiedere aiuto a chi ci ama è solo un modo per raccogliere da sé e dagli altri un altro pezzo per costruire noi stessi. 

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