La maternità è una cosa semplice - parte prima
La maternità è una questione immane, talmente immane che in nove mesi - anzi meno - non sono riuscita a scrivere nulla in proposito. Tuttavia occorre lasciare traccia e poter avere un ricordo a posteriori, per elaborare ciò che è stato senza il mutevole incedere degli ormoni femminili. Pertanto cercherò di raccontare quello che è avvenuto nei nove mesi precedenti la nascita della piccola peste che ora porto in braccio.
Non ho alcuna intenzione di raccontare la questione giorno per giorno, ma di procedere a imbuto, per grandi temi. Perché, almeno, una cosa mi è chiara: la gravidanza non è solo una questione tua - o, meglio, tu vorresti che fosse una questione solo tua - ma scopri all’improvviso, mentre sei incinta, che il mondo emerge, emerge la gente e tutti avranno delle cose da dirti.
LA GGGGENTE
Il punto è che quando sei uno yeti e ti manifesti solo raramente, solo quando vuoi tu e solo per sbraitare, essere al centro del mondo sociale e oggetto delle chiacchiere altrui non è proprio piacevolissimo.
Per Ggggente qui intendiamo coloro che sono al di fuori della ristretta cerchia di amici e parenti - che comunque mi conoscono, sanno che sono uno yeti, mi giustificano ma, credo, mi trovano in ogni caso ingestibile.
La ggggente è, per prima cosa, quella che ti demolisce: che pancia piccola! E tu te ne sbatti della linea, perché vuoi solo partorire un cinghialotto, pertanto se ti dicono che sei piccola e che loro alla tua epoca gestazionale ricoprivano la superficie della Lombardia, tu non sei contenta di aver mantenuto la linea. Pensi solo che non stai crescendo nel modo giusto.
La ggggente è quella che prova a terrorizzarti con i racconti agghiaccianti del proprio parto - magari avvenuto novant’anni prima in mezzo ai covoni di fieno, in pieno regime borbonico. Tu li hai il potere di fare spallucce e dire “Tanto da qualche parte dovrà uscire!”.
La ggggente è quella che ti dice che stai troppo ferma, che in gravidanza non sei malata, che dovresti fare trekking tre volte a settimana, triatlon almeno una volta a settimana, nuoto tutti i i giorni, squat ogni volta che ti sposti dal letto alla poltrona. Tu hai passato gli ultimi mesi prima della gravidanza ad allenarti in piscina, a fare circuiti mortali e nessuno sa quanto stai soffrendo per L’immobilità. E tuttavia, se l’istinto ti dice di stare ferma, devi far tacere le voci della gente e stare ferma: mesi di spasmex ne sono la prova, con quei dolori scambiati per colite e che poi, in sala parto, hai scoperto essere proprio contrazioni.
La gente parla e parlerà. La forza della madre-yeti è quella di ignorare il mondo. Perché se non lo ignorasse, si esprimerebbe in uno dei suoi magistrali sfoghi da bestia la cui tana è stata profanata.
Quindi: ignorare is the way.
LE ALTRE MAMME
Con la dicitura “altre mamme” qui non si intendono né le amiche già madri, né le tue parenti già madri, né le gestanti che incontri ai monitoraggi negli ultimi estenuanti giorni da ippopotamo sovrappeso. Qui, per altre mamme, si intendono quelle donne già madri, di cui tu ignori nome, professione e storia, ma che, vedendoti incinta in giro per i luoghi pubblici, si sentono in dovere di dirti qualcosa. A volte, molto raramente, ti ritrovi la dolce settantenne che commenta solo “questo è uno stato di grazia!”, ma il più delle volte trovi isteriche che smaniano per raccontanti le atrocità del loro parto, con uno strano, sadico, scintillio negli occhi. Oppure trovi quella che, al ristorante, svezza e allatta al seno contemporaneamente un bambino di due anni, ha la voce stridula, imbocca il marito e tiene a bada al cane. Tu hai già capito l’antifona e tenti di nascondere i tuoi cinque mesi di gestazione sotto al tavolo. Ma non la scampi. Quando è il momento di andarsene, puoi nasconderti quanto vuoi. Lei urlerà: “ma qui c’era una pancina nascosta!” E tu farfuglierai mille cose, tra cui la data presunta del parto e tutta la tua vita gestazionale che, la mamma di fronte a te, vuole sapere nel tempo che intercorre tra il pagare il conto e l’aprire la porta del ristorante.
L’unica cosa che pensi in quel momento è: tutto, ma non come lei. Ti rivolgi a tuo marito e gli dici: se mi riduco così, internami.
Ma in fondo sono uno yeti. Posso mai io diventare così?
LE MAMME AMICHE
C’è poi una particolare categoria di mamme con cui, nonostante tu sia uno yeti, riesci a condividere molte cose. Sono le amiche, le mamme che tu conosci e che hanno partorito da poco e che ti dicono la verità su gravidanza, parto e puerperio. E poi ci sono anche le mamme che non conosci, ma che incontri ai monitoraggi e con cui stringi rapporti solidissimi, nell’arco di un tump tump cardiaco e di una contrazione più forte delle altre. Che quasi sembra che ci si conosca da sempre. Un grande mistero: anche lo yeti, su quel lettino legato alle fasce del monitoraggio come vacca da allevamento, riesce a condividere qualcosa. Una notte insonne, uno dolcetto che svegli il bambino nella pancia e acceleri il monitoraggio, anche solo un sentimento avvertito al passaggio di una contrazione. Oltre al cuore del bimbo.
Perché quello, quando lo senti battere dentro di te, ti fa capire a che miracolo stai partecipando e mette a tacere ogni voce e ogni pensiero.
... to be continued
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