Bella, mentre parla al vento sottovoce - UNO E DUE
UNO E DUE prima parte - Diglielo tu; seconda parte - Allora, Prof, come continua?; terza parte - Un giorno, all'aprirsi dei boccioli d'albicocco; quarta parte - Torno a casa e mandorle ovunque; quinta parte - Perché, a volte, lei sparisce
Bella, mentre parla al
vento sottovoce. Bella, mentre confida i pensieri degli scampoli di
anno scolastico ad un ragazzino come lei, diverso da lei. Bella,
mentre fa fatica eppure si fa coraggio. Bella. Anche per questo la
sposo. Oltre che per un milione di altri motivi – se mai ci fosse
bisogno di un motivo per sposare la persona che ami.
Lui, il ragazzino di
quindici anni con cui lei parla, è uno di quelli del suo laboratorio
di cucina. Lui è uno di quelli che non ha le mani chiuse e serrate.
È uno di quelli che parla, sente, si muove, pensa, di fuori è
normale, di fuori è un ragazzo come gli altri ma dentro ha un
balletto di confusioni che solo lui sa. Lui e lei hanno la stessa
diagnosi. Ma non sono la stessa cosa, né sono uguali – né altro.
L'ho accompagnata
all'ultimo giorno di laboratorio di cucina. Dopo aver salutato i miei
ragazzi e aver detto loro Ci vediamo agli esami, appiglio estremo per
non doverli salutare davvero – perché non c'è niente di più
malinconico e struggente assieme di dover salutare un ragazzo che
devi salutare per forza; perché, ogni tanto, occorre salutarsi e
voltarsi dall'altra parte per crescere. E, quindi, ho anche io un
certo magone. I miei bimbi di terza media che spiccano il volo. Lei
che spegne il forno dopo aver preparato l'ennesima pizza dell'anno.
Tutti la salutano, i genitori di questi ragazzi speciali la salutano,
lei fa un passo indietro, china la testa, abbassa gli occhi, non
bacia, non si fa toccare – ma stavolta lo fa per ben altra difesa.
I saluti le spezzano il cuore, si sente in balia del nulla per
giorni, le sembra che il mondo possa finire. Poi fa tesoro di quel saluto
e se lo porta dentro, sempre.
Ma questo è un saluto
speciale. Perché il suo quindicenne allievo cuoco, in realtà, si
sta trasferendo con la famiglia in un'altra città.
Allora – gli dice –
non ci vediamo più? Lui fa spallucce, Ti verrò a trovare, fa, Mi
verrai a trovare, aggiunge dopo un tic e un'esitazione. Lei dice Sì
certo non troppo convinta. Si sbriga ad aggiungere Ti ho portato una
cosa.
Il ragazzino e la mia lei
si siedono sotto un albero del cortile, io rimango in disparte, do
loro la riservatezza che meritano, eppure apro bene le orecchie e tento
di carpire ogni loro suono prima che si sperda
nell'aria.
Lei gli porge un
quadernino. Lo ha scritto per giorni. Contiene tutte le ricette che non
ha potuto mettere in pratica con i bambini al laboratorio di cucina.
Secondo me tu sei pronto per queste, gli dice.
E, nel ricevere il regalo, lui ha un tic alla base della gola che è un sussulto e un singhiozzo. Lei, invece, inaspettatamente, mantiene la calma.
Secondo me tu sei pronto per queste, gli dice.
E, nel ricevere il regalo, lui ha un tic alla base della gola che è un sussulto e un singhiozzo. Lei, invece, inaspettatamente, mantiene la calma.
Non l'ho mai vista
mantenere la calma. Specie con i saluti e tutto quello che coinvolge
anche solo di un nulla la sua empatia e le sue emozioni. Lei, ecco, piange per
qualsiasi inezia. Lei ride per qualsiasi inezia, si arrabbia,
strepita e urla in modo esagerato, lei gode ed è felice – quando
lo è – in modo esagerato. Ed è anche triste in modo esagerato,
per lei ogni cosa che accade è una ragione di vita. L'ho vista
piangere per film di terz'ordine e ridere a battute davvero stupide.
Di un pianto e di un riso che vedi solo nei bambini di tre anni, un
pianto e un riso inconsulti, istintivi, sinceri. Di quelli che ti
fanno apprezzare il riso e il pianto che hai dimenticato diventando
adulto. Qualcuno, come al solito, ha associato questo comportamento a
un disturbo, qualcosa di scientificamente legato alla sua sindrome.
Per me, invece, è un dono. Ogni volta che ride e che piange mi
regala un'emozione sconosciuta. Il medico mi ha affidato il compito
di arginare le sue risate e i suoi pianti. Io li argino, ma ne
rimango affascinato. E decido, a volte, di tenermi lontano dalla
razionalità del compito e di godermi la forza di un animo tanto
sensibile.
Una volta l'ho vista
piangere mentre lucidava il tavolo in cristallo temperato. Che hai? -
le ho chiesto. Nulla. Immaginavo di andare in pensione e che tutti i
miei colleghi mi regalavano cioccolatini, fiori e abbracci.
E pronta è arrivata la
mia risposta cinica, per arginare: tu non andrai mai in pensione, con
il non lavoro che hai.
Il gioco dell'Immaginavo
di è un continuo, in casa. E poiché lei ha un'immaginazione
fervida, poiché si immedesima in ogni situazione, anche quelle che
non le appartengono, io ho il dovere di portarla con i piedi per
terra e di farla smettere di piangere.
Lei piange.
Immaginavo di fare il
dolce più buono della terra, di farlo mangiare ai miei bambini e che
tutti assieme mi abbracciavano senza lasciarmi fiato.
Risposta cinica: per
quanto tu sia brava, con i dolci non te la cavi troppo bene.
Lei piange.
Immaginavo di camminare
per strada, di trovare un micino infreddolito e abbandonato, di
prenderlo in braccio per portarlo a casa. E lui comincia a succhiarmi
il dito come se fossi la mamma.
Risposta cinica: sai che i gatti, insomma. No.
Lei piange, poetica.
Cos'hai stavolta? Le
chiedo.
Immaginavo che il giorno
del nostro matrimonio, dopo esserci scambiati gli anelli, tu leggevi
una poesia scritta da te, per me.
E la risposta cinica
fatica a uscirmi. Anzi, non esce proprio. Rimango senza parole,
sorrido appena, imbarazzato, penso che non so scrivere poesie e che
al massimo posso dedicarle un integrale o un'equazione. Così, le
lascio un bacio tra i capelli.
Poi ci sono casi in cui
non prova nulla – ed è questo andare da un eccesso all'altro senza
motivo che fa saltare i medici sulla sedia. L'ho vista rimanere di
pietra davanti al fratello che prima si inginocchia con un anello
grande così di fronte alla fidanzata e poi la lascia; l'ho vista di
granito davanti alla sorella in lacrime per aver scoperto che
l'ennesimo uomo conosciuto in discoteca non vuole passare la vita con
lei. Oh! Un giorno forse vi parlerò anche dei suoi fratelli e del
mio. Dei tipi strani e sopra le righe che sono. Di quanto siano
diversi da noi, di quanto ognuno di voi possa guardarli e ridere per
certi comportamenti che hanno. E di quanto ognuno di voi considererà
del tutto normale comportamenti simili, scuotendo la testa con un
sorriso sin troppo bonario. E di quanto ognuno di voi di fronte alla
bellezza assoluta della mia lei dirà che è una strana ragazza –
povera, strana ragazza. Scuoterete la testa, con gli occhi aperti,
senza sapere di averli chiusi.
E, insomma.
Lei continua a parlare al
suo allievo di pizze e lievitati con una calma quasi divina. Sei
bella, te l'ho mai detto? Anche quando ti sforzi di essere forte e
dentro implodi di emozioni. Sei bella proprio perché stai imparando
a controllarle, queste emozioni più grandi di te. Un bimbo cade a
terra, non si fa nulla, ma il solo motivo di essere caduto lo fa
reagire con un pianto disperato. Sei incommensurabilmente bella,
mentre cadi e ti tiri su con un sorriso – dentro le lacrime. Lo hai
cresciuto, quel ragazzino. Dal giorno in cui, sei o sette anni fa, la
mamma te lo ha portato disperata, una diagnosi in mano, Tu sei come
lui, ti ha detto, Aiutalo ti prego, ti ha detto, Non voglio che
sia... così, ti ha detto. E tu, adulta eppure bambina, hai fatto
tutto quello che di diverso sai fare. Lo hai cresciuto normalmente
senza cambiare una virgola del suo essere speciale. Lo hai fatto
crescere consapevole di essere speciale.
Sto pensando alle volte
in cui lo hai portato al cinema o a passeggiare con noi, quando eravamo
ancora solo fidanzati. A quando lo hai portato a casa nostra, per
fargli vedere che anche noi stavamo crescendo. A quando gli hai
insegnato le prime cose in cucina, lui in piedi su uno sgabello. A
quando dello sgabello non c'è stato più bisogno. A quando mi ha
chiesto Come ha fatto lei a innamorarsi di te? E a quando gli ho
risposto Tranquillo, anche tu ti innamorerai di qualcuno.
Ecco, ora il mio magone è grosso così. E preme sulla gola. E non solo per i miei bambini di terza media che
spiccano il volo.
All'improvviso, il suo
parlare sottovoce diventa un sorriso sottovoce. Lei dice: ci vediamo
al mio matrimonio, allora. E lui risponde: perché, ti sposi?
Certo che sì. Te l'ho detto, non ti ricordi?
Sì, mi ricordo, ma non credevo che lo facessi per davvero. Come farai, quel giorno?
Lei sorride: come farò a fare cosa?
Come farai con tutta quella gente, lo sai.
Io mi sposo con lui – mi indica – con quello là. E basta.
Certo che sì. Te l'ho detto, non ti ricordi?
Sì, mi ricordo, ma non credevo che lo facessi per davvero. Come farai, quel giorno?
Lei sorride: come farò a fare cosa?
Come farai con tutta quella gente, lo sai.
Io mi sposo con lui – mi indica – con quello là. E basta.
Ora mi guarda anche lui.
Devo sembrare un imbecille a dondolare da una gamba all'altra con le
mani in tasca. E sorrido, quindi, come un imbecille.
Si salutano. Ma senza i
soliti crismi. Battono piano il pugno chiuso uno contro l'altro. Non
dicono altro. Lui fugge nell'auto della madre. Lei viene da me. Stira
le braccia. Uff, urla sbadigliando, Andata! Urla ancora.
Andiamo a prenderci un
gelato? - urla di nuovo, con gli occhi chiusi.
Va tutto bene?
Sì, certo.
Perché tieni gli occhi
chiusi?
La luce mi dà fastidio.
Metti gli occhiali da
sole, allora.
Allunga la bocca, in un
sorriso esageratissimo. Ma gli angoli delle labbra si increspano. E,
appena apre gli occhi giganteschi e neri che ha, due lacrimoni
altrettanto giganteschi colano giù, superano il mento e le bagnano
il collo. Mi viene subito da ridere.
Stupido, smettila. Mi
dice. Ma rido ancora. Sarebbe questa la tua risposta cinica al mio
pianto, stavolta?
Dai, abbracciami, scema.
La stringo così tanto che quasi le faccio male. Perché gli adulti
fanno così. Nascondono le emozioni come possono, chi lo sa perché,
poi. E le sue emozioni diventano le mie.
Lo sai, forse una poesia non posso dedicartela, ma un'equazione sì. Per me l'equazione più poetica è quella in cui uno è uguale a due. Due è uguale a uno. Uno è due e due è uno. E non c'è matematica che tenga.
Short Story by ©Veronica Mondelli - Tutti i diritti riservati
Immagine: Gustav Klimt, Amanti, ?
Soundtrack: Silence
Commenti
Grazie. Brava! Buona estate. Alla prossima.