GANGSTA.
Questa è una di quelle
storie che, seppur piene di imperfezioni, sa comunicarti qualcosa. È
di quelle che divide la tua mente tra il critico, il creativo e il
bambino – e vince il bambino, c'è poco da fare. C'è poco da fare
perché ogni tanto bisogna spogliarsi dell'atteggiamento del critico,
ogni tanto occorre divertirsi e basta, ogni tanto è necessario
divertirsi con quella schiettezza che hanno solo i bambini – e che
ti porta a tanto così dall'atteggiamento del creativo.
Insomma, è proprio come
quando si gioca. Il tuo modo di giocare incontra il modo di giocare
di qualcun altro. Il tuo modo di intendere determinate tensioni
ludiche incontra quello di qualcun altro. Abbiamo incontrato quello
di Kosuke. E con Kosuke abbiamo iniziato a giocare, tanto che cinque
tankobon sono stati risucchiati in appena una settimana di lettura.
Ebbene. Kosuke inventa
una storia molto vicina, per certi concetti, a quella di Blade
Runner. Poi la esagera. Esagera continuamente e va non dove la
porterebbe una sana costruzione narrativa, ma dove la conduce il
gioco a cui sta giocando. Insomma, ci sono questi Twilight che possiedono capacità sovrumane e che si distinguono dai normali umani solo
perché portano al collo delle targhette che ne indicano il grado di
forza. Ad un certo punto, qualcuno decide di eliminarli tutti, questi
uomini-crepuscolo, così chiamati perché le loro aspettative di vita
non superano i trent'anni. E fino a qui ci sono tante affinità con
i replicanti di Scott.
Poi, ecco che il
paradosso comincia a farsi strada.
Esiste una città-ghetto,
meglio, una città-carcere, chiamata Ergastulum. Qui devono vivere i
Twilight, da qui non possono uscire, pena la morte. Ma ad Ergastulum
vivono anche potenti famiglie mafiose, gilde di mercenari, piccoli
criminali, vagabondi e prostitute. Tutto il peggio del
peggio dell'umanità. Nella guerra tra famiglie e gilde, ecco
muoversi i nostri due protagonisti, Nicolas Brown e Worick Arcangelo.
Sono due Benriya, cioè due tuttofare, due sicari neutri che di volta
in volta vengono assoldati per fare strage ed eliminare pericolose
tracce. Tra di loro, c'è Alex Benedetto, una giovane ex-prostituta,
raccolta dai Benriya come bottino di guerra e assunta come segretaria
per i due tuttofare. Worick è un uomo (almeno all'apparenza)
normale, tormentato da un passato drammatico; è di una bellezza
nobile e, amato da tutte le donne, arrotonda lo stipendio facendo il
gigolò; uccide a sangue freddo col suo silenziatore ed è affetto da
ipertimesia – memorizza tutto e oltre in pochissimo tempo.
Nicolas, invece, normale
non è. È nato da genitori Twilight e – ecco dove conducono i
giochi, talvolta – tutti i Twilight compensano la loro forza
sovrumana con un handicap. L'handicap può essere psicologico o
fisico: Nicolas è sordo. A volte tira fuori qualche parola dai suoni
sgraziati, ma comunica soprattutto col linguaggio dei segni.
Con Nicolas potrebbe
finire il fumetto, tanto è bella e sfaccettata la sua figura. Grandi mani, bassa statura, pelle e ossa, ex
mercenario, ex soldato-bambino: è un personaggio enigmatico,
violento, cattivissimo eppure – lo si vede – buono. Noi lettori
filtriamo quasi tutto con gli occhi attoniti di Alex e tramite lei
cerchiamo di comprendere il mistero di un uomo complicato e
sfuggente: Nic è un Twilight, ma è fortunato perché ha già
raggiunto i trentaquattro anni; maneggia con spaventosa maestria una
katana; ha il corpo ricoperto di ferite e cicatrici (e qualcuna deve
avercela pure dentro); è chiuso e per certi versi tenero ma non
esita a torturare le proprie vittime, sguazzando nel sangue come un
pesce in mare aperto. E, poi, ciliegina sulla torta, è un tossico:
fa continuo uso di Celebre, una droga necessaria ai Twilight per
sopperire alle proprie carenze e per non avvertire dolore o fatica.
La trama a volte fa acqua
da tutte le parti. A volte si tira su con guizzi sorprendenti. Altre
volte regala delle chicche davvero invidiabili – perché nel
montare le scene Kosuke ha talento. Ma, soprattutto, Kosuke sembra
seguire completamente la sua voglia di giocare. Negli ultimi capitoli
ha aggiunto personaggi su personaggi, mettendo in ombra – e questo
non glielo perdonerò mai – proprio Nicolas, personaggio raro e
sinora ben costruito che, tuttavia, ha ancora possibilità
inesplorate.
Comprendo bene che
l'autrice stia ancora tessendo la trama e che cinque volumi siano
poca cosa per discutere di pregi e difetti. Ma ho fiducia: perché se Kosuke ad un
certo punto saprà fermarsi, avrà tutte le carte in regola per
approfondire e per dar vita ad una storia gangster-distopica di
grande impatto.
Il punto è che Kosuke ha
uno stile molto maturo. Credo che Gangsta. sia opera prima, quindi la
cosa sbalordisce ancora di più. Molti fumettisti iniziano in modo
acerbo e migliorano strada facendo all'interno dello stesso lavoro.
Qua, già alle prime vignette, Kosuke regala personaggi anatomicamente
ben definiti, caratterizzati da un tratto veloce, quasi fulmineo,
eppure dotati di profondità e movimento verosimili. E poi, come già
accennato, ciò che colpisce è il montaggio. Kosuke non ci regala
mai una sequenza intera e completa. Salta da una parte all'altra,
dandoci il senso dello scorrere parallelo del tempo; talvolta parte
dalla fine per tornare poi all'inizio e mostrarci come due diverse
scene hanno saputo incrociarsi. Sui flashback spadroneggia: ce li
presenta dapprima come sogni di cui si ha poca memoria, poi come
frammenti, poi ancora unisce due frammenti, poi ci presenta il
flashback per intero ma si interrompe sul più bello e, se ci mostra
tutto, decide di lasciare oscure molte cose. Per quanto riguarda la
narrazione dal punto di vista di Nicolas – che è sordo, non parla
ma comunque pensa – Kosuke abbandona i balloon e realizza sequenze mute, in cui occorre solo guardare – e guardare
attentamente – quello che accade. Specie nelle scene che riguardano
Nicolas e Veronica (una misteriosa ragazza di cui ancora poco si sa),
Kosuke dà il meglio di sé, mostrando poche immagini forti e
lasciando al lettore il compito di tirare le somme.
L'altro elemento che dà
valore a questa storia strampalata, elemento ben calibrato
dall'autrice, è il rapporto tra Alex, Nicolas e Worick. Alex parla,
scherza e litiga con Worick. Ma è incuriosita e attratta da Nicolas.
I due sono uniti da un vettore, uniti strettamente, eppure tenuti
lontani dalla sordità e dalla violenza di Nicolas, che cammina
sempre due passi avanti ad Alex e teme a stare nella stessa stanza
con lei; eppure Nicolas non esita a donarle il suo fazzoletto per
pulirsi il sangue dalla faccia, non esita a uccidere e torturare il
suo vecchio protettore, non esita a dire “è la mia donna!”
purché tutti smettano di insultarla e non esita ad abbracciarla,
in un abbraccio che segna, al contempo, la vicinanza e la lontananza
tra i due. La sequenza che meglio indica questo rapporto è quella in
cui Alex se ne sta da sola, ad una festa e, contemporaneamente,
altrove, Nic se ne va in giro ad assassinare e salvare altri Twilight
come lui: il tutto in un montaggio alternato, impreziosito dal solo
commento “sonoro” di Stand By Me che riempie la festa.
Il punto, in definitiva,
è questo: da un lato c'è il gioco, quello che porta Kosuke ad
esagerare tutto, dall'altro c'è la scelta di dinamiche che fanno
ampiamente parte dell'immaginario dello spettatore e che qui appaiono
ben affinate. Kosuke può fare ancora moltissimo: può continuare a
giocare, limando sempre di più il gioco con la maturità
sorprendente di certe sue trovate.
Commenti
Da aprile.
I miei migliori saluti
Tristam Strauss