American Horror Story: Asylum
Anno: 2012 - Nazionalità: USA - Genere: Horror - Episodi: 13 - Stagioni: 3-in corso - Ideatori: Ryan Murphy e Brad Falchuk
American Horror Story ha
dimostrato e continua a dimostrare di volersi muovere in un ambito
affascinante e pericoloso: l'universo femminile. Si era già detto
per Murder House che protagonista della serie era la donna – madre,
moglie, amante, figlia – una donna che in sé racchiudeva la
razionalità e la follia, l'odio e l'amore in una sorta di riedizione
americana e contemporanea della Medea greca.
Con Asylum non ci si
discosta molto da questo approccio il quale, anzi, si fa piuttosto
intricato e complesso.
In Murder House il luogo
del racconto era la casa infestata. Anche in Asylum vi è un luogo
ben preciso e circoscritto, da cui difficilmente la macchina da presa
e la sceneggiatura escono: un istituto psichiatrico. Siamo nel 1964 e
i malati di mente non godono ancora di cure mediche all'avanguardia:
a occuparsi di loro ci sono Dio, la Chiesa, un monsignore e un gruppo di
suore. Inutile dire che la malattia mentale venga vista in maniera
demoniaca e inutile dire che la “cura” sia molto vicina alla
tortura o al martirio. Ma è pur vero che in Asylum non è tutto
bianco o tutto nero. I colori sono i più vari e le sfumature sono
molteplici, specie quelle del rosso – che qui indica uno spettro
che va dalla passione, all'amore, alla maledizione.
Gli attori di Asylum sono
gli stessi di Murder House. Ma interpretano personaggi diversi
rispetto alla serie precedente. Eppure, nell'assegnazione dei ruoli,
si è seguita una logica molto precisa. I personaggi di Asylum non
sono poi così lontani da quelli di Murder House. Valgano due esempi su tutti.
Jessica Lange - mostruosamente brava! - spicca su
ogni altro attore/personaggio: se nella prima serie era la madre
privata della maternità perché aveva visto morire tutti i suoi
figli, in Asylum è la suora ex cantante che cerca la redenzione –
e che troverà pace, seppure per pochi momenti, in un improvvisato
nucleo familiare caldo e accogliente.
Il Tate psicopatico di
Murder House, diverrà un Kit dapprima scambiato per un feroce serial
killer e poi si rivelerà un uomo incline ai buoni sentimenti e alla
paternità.
Potremmo continuare con
gli esempi, ma meglio non insistere con gli spoiler. Basti sapere che
questa trovata non destabilizza lo spettatore, dal momento che utilizza un
continuum logico nella tipologia dei personaggi tra una serie e
l'altra.
Come già detto
nell'introduzione, Asylum si concentra sulla figura femminile. Gli
uomini appaiono orpelli. C'è la donna-madre, la donna-non madre, la
donna-mostro, la donna-angelo e la donna-sesso, la donna-morte e la donna-demonio, la
donna-fragilità, la donna-ambizione e la donna-violenza. Ognuno di
questi personaggi mostra un aspetto dell'essere femminile. Eppure,
ancora una volta, non si scende nel banale, non si generalizza mai.
Tutt'altro: ogni donna porta dentro di sé uno di questi aspetti,
decretando, al contempo, la particolarità e
l'universalità del proprio essere.
Gli uomini sono tutti
posti in relazione alla donna: il medico nazista che conduce feroci
esperimenti sui malati mentali è vittima della sua
stessa mania per la donna-purezza, incantato da una caratteristica
femminile mai completamente scevra da aspetti negativi; Bloody Face,
il serial killer, è ossessionato dalla donna che non si assume le
sue responsabilità di madre; Kit non ha un'ossessione vera e propria
ma rimane un uomo legato alle (proprie) donne in maniera
inscindibile, che siano le sue due mogli o la madre fittizia
(come si rivelerà nel finale). In ogni caso, l'essere maschile
risulta una conseguenza dell'essere femminile, influenzato dalla
donna nel bene o nel male.
E, tuttavia, l'identità
sfuma. Lo dice la stessa etimologia della parola, che racchiude in sé il concetto di "uguaglianza" e di "distinzione". Gli ideatori della serie inseriscono un ulteriore elemento di
complessità: si sta parlando di identità, sì, ma si tratta di
identità all'intero di un istituto psichiatrico. Si tratta di
identità in qualche modo violate, negate, erose. La donna-mostro è
rinchiusa perché mostro. La donna-ninfomane perché ninfomane. La
donna-fragilità perché è fragile. La donna-demonio è rinchiusa in
un abito da suora e Suor Jude ingabbia dentro di sé la sua
femminilità sofferente ed esplosiva. L'istituto psichiatrico ha il
duplice ruolo di negare l'eccentrica identità dei pazienti e di
affermarla con forza. Eppure, l'ospedale si rivela un microcosmo
perfetto per ogni paziente. Una volta fuori, è impossibile adattare
la propria particolarità all'insipido mondo dei normali. I normali,
mostruosi nel loro giudizio da benpensanti, popolano un mondo intero
di follie – di follie negative, false, malvagie. L'asylum
è il ricovero ideale, quello in cui la molteplicità dell'essere
umano fragile, sensibile, particolare può emergere senza il
giudizio altrui. Non è un caso, infatti, che fuori dell'ospedale
tutti riescano a sopravvivere solo per poco tempo. La parola scelta
per il titolo è inequivocabile: asylum significa manicomio, casa di
ricovero, ma anche rifugio e asilo.
Ed è proprio a tal
proposito che si inserisce quel sottotesto apparentemente
incomprensibile e gettato in faccia allo spettatore con noncuranza,
quello degli alieni. L'alieno, anzi, appare indispensabile in una
storia del genere. Non è da leggere come elemento reale, ma come un
commento, una metafora per l'intera storia. Ci aiuta, ancora una volta, l'etimologia: alienus. L'alieno è di per sé l'altro sconosciuto di cui si
ha paura. I folli dell'ospedale psichiatrico sono gli alieni della
società, quelli che vengono rinchiusi per il loro comportamento ma,
soprattutto, per il loro modo di vedere le cose. Vengono spediti in
un'altra galassia, in un posto che si vede da lontano, di sfuggita, e
che si vuole poi subito eliminare dalla vista e dai pensieri. La definizione di alieno è l'ultimo baluardo dell'identità-non identità
dell'uomo: si cerca di ingabbiare i pazzi in una definizione
medica, ma non si può. La mente e l'animo umani sono troppo
complessi, specie in chi è più fragile, più sensibile, più
intelligente. Ciò che fa paura di queste persone è la non facile
categorizzazione. I folli sono la dimostrazione che l'essere umano non è
perfetto, che la normalità non è normale, che il quotidiano può
essere bizzarro. Sono lo specchio terribile in cui si teme di
riflettersi. Sono speciali, ma passano la vita a sentirsi dire che
sono diversi, che sono l'incarnazione del male. Si cerca di applicare
i loro comportamenti eccentrici a scoperte e teorie mediche di ogni
sorta. Li si prende, li si analizza, li si sviscera, fino a far loro
del male. Li si scompone, ne si ruba l'identità. Ma, in fondo, i
folli, con l'identità, non sanno che farsene. Perché loro non sono
identici a niente e nessuno. Per questo, una delle scene fondamentali
della serie è il musical/sogno (The Name Game): tutti i pazienti recitano una
filastrocca in cui scompongono e ricompongono i loro nomi in tutta
libertà, scatenando il corpo e la mente. Saranno pure rinchiusi
dietro spesse sbarre di ferro, ma Asylum ci dice che i pazzi sono gli
unici esseri umani davvero liberi.
E, infatti, gli unici non liberi, gli unici pazzi che sopravvivono all'esterno sono coloro che usano la pazzia per la propria normalità. L'uomo che nasconde la propria inclinazione alla violenza dietro un rispettabile aspetto da medico: è l'uomo debole, che costruisce la sua vita su una monomania. L'uomo che fa coppia con la donna che tradisce gli
affetti, gli amici e se stessa per farsi strada nel mondo dei
normali. Quest'ultima è la donna-ambizione, la donna-falsità, la donna-normalità, quella che infanga
il nome di tutte le altre donne alle prese con la verità e la coerenza.
Commenti
o___O
Comunque bella l'idea di utilizzare gli stessi attori per storie diverse.