The Kitchen Daughter
Autrice: Jael McHenry - Titolo italiano: La cucina degli ingredienti magici - Traduzione: Elisabetta De Medio - Casa Editrice: Corbaccio

Ginny è sempre chiusa in
casa, non guarda le persone in faccia e non sopporta che la tocchino.
Se qualche estraneo osa sfiorarla, lei urla, fugge, infila le mani
nelle scarpe e negli stivali di mamma e papà. Non riesce a
laurearsi, perché le manca l'esame di comunicazione orale. Nel corso
della sua vita ha avuto una serie infinita di fissazioni. Ma solo una
è sopravvissuta: la cucina.
Ginny è una cuoca
sopraffina, bravissima. Tutto ciò che è ingrediente sparpagliato e
insignificante, sui suoi fornelli, diventa cibo squisito, cucinato
con perizia e attenzione.
Un giorno, Ginny perde
entrambi i genitori. E, per forza di cose, è il momento di cambiare.
Ma cambiare non sarà facile, perché è probabile che la
"personalità" di Ginny sia qualcosa di più, forse una
sindrome o chissà cos'altro. Ciò che importa è che rimane sola; la
sorella Amanda (madre un po' isterica, non troppo normale) non si fida di
lei perché non la vede adulta e teme possa combinare pasticci.
Amanda vuole portar via Ginny dalla casa dei genitori. Una casa di
duecento anni, nella cui cucina avvengono cose straordinarie: quando
Ginny prepara la ricetta scritta da una persona passata a miglior
vita, le appare il fantasma. Sarà grazie a questi fantasmi (reali,
immaginari?) che Ginny scoprirà la verità sulla sua famiglia e su
di sé.
Senza svelare oltre,
andiamo al dunque. The Kitchen Daughter è un libro che trabocca di
dolore, solo che non ce ne accorgiamo mai. Soltanto a freddo, a
posteriori, lo capiamo: nel libro c'è la continua e incessante presenza della morte e
l'unico contatto che Ginny ha con la vita è quello con le sue novità
peggiori. Ma, appunto, questa sofferenza non si percepisce: il
romanzo è narrato al presente, con la stessa leggerezza degli
accadimenti cui non puoi dare spiegazione proprio perché stanno
avvenendo; la storia è in prima persona e noi lettori vediamo tutto
con gli occhi e la "personalità" di Ginny, che ha un modo
tutto suo di reagire alle cose; questo particolare punto di vista porta nello stile di
scrittura, molto asciutto, una continua ironia (a volte un po' nera,
ma pur sempre ironia).
Soprattutto, è
l'elemento culinario che stempera il dolore. Non è un caso che
l'autrice, una giornalista blogger di cucina, abbia creato
questo binomio morte/ricette. La preparazione dei piatti diventa una
sorta di catarsi non metaforica ma letterale. Gli ingredienti che
prepariamo sulla tavola sarebbero inermi, morti, se non li
assemblassimo per farli rinascere in forme nuove. È così che
funziona la cucina, è così che funziona la vita. Nella vita le
persone andate non tornano, ma chi resta (a volte, non sempre, come
dimostra il personaggio di David) ha un istinto di sopravvivenza che
lo aiuta a rinascere, con o senza dolore, con o senza
amarezza.
Il cibo diventa il simbolo di ciò che
facciamo per andare avanti. Ogni ingrediente resuscita. Finito il
piatto, abbiamo donato la vita a qualcosa che non ne aveva più. La
cucina è terapeutica. È un meccanismo che ci dà potere sulle cose
e ci permette di assorbirne il colpo. Interessante anche il terzo
elemento inserito accanto a morte e ricette: i disturbi comportamentali. Chi
ha comportamenti strani (o non normali) tende a creare un proprio
schema d'azione - sempre lo stesso - con cui rispondere alla
vita. Se lo schema difensivo non basta, si va nel panico. Lo schema è
sufficiente finché la vita non ci offre nulla di scioccante. Se ci
dà una novità bella, possiamo assorbirne il colpo con ansia, ma con
più facilità. Tuttavia, la vita ci offre anche novità dolorose: è
lì che lo schema si dissolve. Applicarlo per forza al caos e
all'imprevisto diventa impossibile e tragico.
Ginny applica i suoi
schemi, che però non bastano più. Senza genitori, da sola in casa, non
può più permettersi di non parlare con gli altri, di non fare la
spesa, di infilare le mani nelle scarpe di papà per evitare
contatti. I cambiamenti non avvengono con coscienza. Semplicemente
Ginny agisce travolta dal caos. I suoi comportamenti si adattano al
resto, scoprendo che non tutto ciò che non si fa è terribile.
Nel minimalismo dello
stile, nella velocità degli eventi, senza accorgercene, ci troviamo
prima a pensare all'unisono con una Ginny in panne, poi con una Ginny
via via più autonoma e matura. Il personaggio cresce e non è un
monolite, lasciandoci intendere che la parola "normalità" è solo un'etichetta a cui tutti (sani e malati) sfuggono. Nella trama non tutto combacia perfettamente, ma la
sensazione finale è quella di una storia coerente che vive di vita
propria, caratterizzata da quelle imperfezioni e da quei "non-so"
che l'esistenza ci fa sperimentare ogni giorno.
Ringrazio l'amica blogger MemoriaRem per avermi fatto conoscere il libro
Commenti
Penso che mi farebbe bene leggere il libro che hai recensito, spero di trovarlo nel formato che occorre a me. A volte una lettura fatta al momento giusto può indicarci una strada, o alla lunga salvarci.
io mi contenterei che mi facesse appassionare alla cucina: trasformati da me, gli ingredienti tendono a restare inerti :-)
Il libro fa anche appassionare alla cucina, specie quando viene preparata la cioccolata calda col peperoncino!!
Trovo interessante il fatto che il libro parli di disturbi comportamentali, una tematica non certo facile da trovare in romanzi che non siano improntati al dramma. Mi ha incuriosita molto.
A dir la verità, ho iniziato a leggere il libro perché pensavo fosse di tutt'altro genere, qualcosa di più "leggero", un genere culinario. Invece mi ha piacevolmente sorpresa, anche perché il dramma non è mai così forte. Anche se, verso la fine... :P
Insomma, te lo consiglio!
Conosco tramite i racconti di una mia collega una blogger che è come la protagonista... e leggere di questo libro mi da da pensare.
Però è vero che la cucina è curativa... è il segnale di quando si stà male o bene con se stessi.
grazie per la recensione, Elisa