Drive
Anno: 2011 - Genere: noir, action - Nazionalità: USA - Regia: Nicholas Winding Refn
Che significato ha la
parola vita? E che significato può avere la parola casa?
Certo, sono due parole
che possono assumere tanti significati quanti sono gli esseri umani.
Però per qualcuno “vita”
può essere sinonimo di viaggio, viaggio incessante, viaggio
frenetico, lungo, doloroso, stimolante: ma comunque viaggio. Quando
la vita è un continuo viaggio, il viaggiatore può diventare un
autista. Deve saper guidare la propria vita e saper guidare quella di
chi gli è accanto, con tutte le difficoltà del caso.
Casa: è un momento di
ritorno a se stessi. Amore, famiglia, calore, riposo. Stasi.
E come può un autista
conciliare il viaggio della sua vita con la stasi?
Una soluzione può essere
quella di avere una piccola casa viaggiante: un'auto. In quell'auto
entra tutto: la casa, la famiglia, il calore, il riposo, le
responsabilità, la fatica e il viaggio stesso. In una casa che
viaggia ci può essere tutto, gioie e sensi di colpa, perché far
viaggiare qualcosa che è statico, così come rendere statico
qualcosa di viaggiante è spesso difficile e inconciliabile.
Tuttavia in una casa
viaggiante, in un'auto guidata ora piano, ora veloce, con tutto il
carico di responsabilità che si ha, risiede la metafora della vita.
Nicholas Winding Refn con
Drive esprime l'universale valore del viaggio della vita e degli
affetti familiari, in un film dai tratti noir e action mescolati al
geniale sguardo d'autore.
Il protagonista è un
driver senza nome. Fondamentalmente algido e laconico, talvolta
esplode, pazzo e furibondo, talvolta vive in un'oasi di pace, con il
sorriso stampato in faccia. Questo complesso e affascinante
personaggio lavora in un'officina, part-time fa lo stuntman nei film
di Hollywood e di notte arrotonda facendo l'autista per le bande
criminali. La sua vita è
instabile. Non sembra esserne particolarmente sconvolto, ma lo si
vede dal suo incessante guidare che la vita del driver è irrequieta
e instabile.
Poi arrivano Irene e suo
figlio Benicio. Quello che per loro è rispettivamente un marito e un padre è
in carcere. Irene e Benicio sono soli. Il driver li accudisce. Li
porta in giro, a bordo della sua auto, una microcasa viaggiante che
li trasporta da un luogo fantastico ad un altro, da una giornata
spensierata ad un'altra.
Ma poi Standard, marito
di Irene e padre di Benicio, esce di carcere. Il driver decide di
accudire tutti e tre, di proteggerli affinché la loro armonia e unità
familiare – quella che lui non ha – sia davvero perfetta ed
esente da problemi.
Ma dove c'è il marcio,
dove il "brutto" e il "cattivo" emergono, qualcosa va sempre male. E il
driver dovrà rivedere i suoi piani, intraprendendo un viaggio
pazzesco, notturno, violento ma carico d'amore struggente.
Refn realizza un film
misurato, che non eccede mai nonostante l'uso della violenza sia catastrofico - in tutti i sensi. Drive costruisce il proprio
mito sequenza dopo sequenza, consapevole di essere già un cult. Ogni
elemento è pensato a dovere. Refn crea una pellicola carica degli stilemi tipici dei film degli anni Settanta e
Ottanta: la fotografia, così rilucente, ricca di sprazzi luminosi
sia di giorno che di notte, di colori caldi, vagamente patinata, ne è
una testimonianza; così come l'eccellente colonna sonora, un
turbinio di sottofondo che palpita continuamente e che non abbandona
mai lo spettatore, irrompendo talvolta in squarci sonori violenti che
fanno sobbalzare e saltare il cuore.
Refn procede con una messa in
scena della storia che raramente in altri autori è così consapevole
e magistrale: il suo punto di vista da autore nordeuropeo si vede
subito nella rilettura degli stilemi di genere, che il regista piega ai propri ritmi lenti e perfettamente riconoscibili. Non pensate di trovare spasmodiche
corse cittadine in stile Burn out o Fast and Furious: le
accelerazioni del motore saranno solo quelle dell'animo del driver e
le lunghe corse saranno lente, pacate, riflessive, quelle di un uomo
senza casa che cerca disperatamente pace. Refn si affida spesso all'uso
del ralenti e di una colonna sonora che riescono sempre a
parlare al posto di un uomo che cova il suo smarrimento e che
nasconde dietro l'apparente calma la smania irrefrenabile per una
vita difficile.
Ryan Gosling interpreta
il driver in modo a dir poco eccellente. Una delle migliori
interpretazioni viste negli ultimi anni. Si muove tra rabbia composta
e calma trepidante, tra passività e aggressività, alternando a queste a volte, solo a volte, la
felicità di un bambino. Gosling stupisce per la maturità della complessa interpretazione di un personaggio da cui ci si può
aspettare tutto e il contrario di tutto. Memorabile la scena del
martello e della pallottola nel club di lapdancer - luci fluorescenti, marroni e gialli avvolgenti, la rabbia del driver una bomba ad orologeria. Come Refn per la
regia, anche Gosling costruisce il mito del driver nel momento in cui
lo interpreta: una sorta di Clint Eastwood cowboy, indecifrabile
eppure estremamente comunicativo, un personaggio molto vicino ad un
altro di Refn, One-eye di Valhalla Rising.
Giocato su un ambiguo
rapporto tra diurno e notturno, Refn porta il diurno e il notturno
nella mente dello spettatore: il genere a cui si affida il film
costruisce un'immensa metafora, non sempre facilmente visibile, sulla
vita dell'uomo, sulla famiglia, sul giorno e la notte dell'esistenza,
il cui percorso è dolce e aspro ad un tempo e implica sacrificio,
soprattutto verso le persone che si amano. Ma nonostante il genere e
la metafora, allo spettatore arriva qualcosa di sotterraneo e
subliminale e per questo ancora più coinvolgente e affascinante: quella ricerca inquieta che ci riguarda tutti da vicino, posta tra la
nostra vita frenetica e la casa in cui trovare conforto.
Commenti
Grazie cara, sentirsi fare un complimento così da una persona come te che scrive da dio non è affatto poco :).