INLAND EMPIRE - pt. 2

La seconda macrosequenza inizia con il lento scolorire dello schermo dal nero ai colori vividi, estremamente vividi, di un albero. Siamo probabilmente su Sunset Boulevard o in qualche via adiacente Mullholland Drive o, forse, più precisamente, a Inland Empire. Los Angeles. Hollywood. Lo stile delle ville è quello del regno del cinema, proprio come abbiamo potuto imparare dal precedente film di Lynch. Una strana e inquietante signora (l'aggettivo inquietante, per Lynch, non è mai ripetuto abbastanza) si dirige verso una di queste ville – eccessiva, barocca – e bussa alla porta.

Finalmente entra in scena la protagonista della storia, l'attrice Nikki. È lei che riceve la strana signora in casa sua e le offre un caffè. L'inquadratura che crea Lynch per questa sequenza è molto particolare. L'immagine è distorta fino a creare un leggerissimo fish eye; inoltre la luce è così forte che in alcuni punti sembra bruciare l'inquadratura. Probabile che le luci “sparate” abbiano intenzione di dire: “realtà, realtà, REALTA'!”. Si grida alla realtà, creando un netto contrasto con la prima macrosequenza, ma l'impressione è che la realtà, con luci, colori, grandangoli e primi piani eccessivi, sia surclassata dalla surrealtà.

Lynch gira il film in digitale. In un'intervista di alcuni anni fa il regista aveva affermato di amare particolarmente la qualità sporca del digitale perché a lui l'immagine sporca intriga molto. Si vede perfettamente che alle immagini manca l'emulsione della pellicola; e Lynch fa qualcosa che in pochissimi sono riusciti a fare girando con una macchina digitale semiprofessionale. Di solito si tende a creare una netta dualità: la realtà della macchina digitale vs il fasullo della pellicola. Lynch smentisce questa dicotomia, perché l'immagine che costruisce con il digitale ha ben poco a che vedere con il senso di realtà. Quello che sembra essere lo strumento privilegiato del cinema per restituirci la tanto cara sfuggente realtà, per Lynch diventa uno modo per costruire, ancora una volta, una realtà inesorabilmente alterata.

In questo impasto di luce accecante, Nikki e la nuova vicina di casa hanno un dialogo a dir poco sopra le righe. L'anziana signora racconta a Nikki la storia del bambino che voleva uscire fuori a giocare e che uscendo creò un riflesso e creò il male. E poi ancora: racconta della fanciullina che andò a giocare fuori e che credeva di essere nella piazza del mercato, ma era nella strada adiacente alla piazza del mercato, quella che conduce al palazzo... Nikki non comprende e la signora pare affermare che queste sono cose che succederanno. C'è una decisa ma anche affascinante contraddizione che tornerà più avanti in questa sequenza: ricordare il futuro.



La signora dimostra di sapere tutto del film che Nikki sta per girare. Già sa che Nikki avrà il ruolo, che il film parla del matrimonio e che al suo interno è previsto un brutale omicidio - “Un brutale omicidio di merda”. Nikki non lo sa, anzi, non ricorda ciò che avverrà. Infatti la vicina incalza: “Se fosse domani, lei sarebbe seduta su quel divano”. La donna punta il dito verso il divano, davanti a lei e a Nikki. Con una continuità registica, spaziale e temporale così semplice quanto fuori della norma, Lynch passa a domani. Dall'oggi al domani, Nikki è sul divano con le sue amiche e riceve la telefonata del suo agente: ha ottenuto la parte.

A questo punto la nostra protagonista incontra il regista e l'attore con cui deve recitare, il bel Devon. Devon, amatore di fama, viene messo in guardia da amici e agenti di non provarci con Nikki. E il marito di lei, che ha tanto l'aria di un mafioso molto potente, lo minaccia apertamente: Nikki è impegnata e il vincolo del matrimonio è importante.

Nikki e Devon si incontrano a Hollywood, “dove le stelle fabbricano i sogni e i sogni fabbricano le stelle”. Il cortocircuito sta per prendere vita. Alla prima prova di “On high in blue tomorrows” (traduzione: “Il buio cielo del domani”) Nikki e Devon recitano da Oscar, non leggono il copione e lei, nel bel mezzo della parte, quando deve piangere, piange davvero. Ma i due attori sono interrotti da un'ombra che richiama la loro attenzione: pare che qualcuno si stia aggirando per il set. Devon insegue l'ombra, ma non la trova - “È scomparso dove è impossibile scomparire”, dice e cioè dietro la sottile parete di una casetta del set. È a questo punto, quando la stranezza si fa pesante, che il regista spiega ai due attori che Il buio cielo del domani è un remake di un film polacco, “47”, che non fu mai finito perché durante la lavorazione i protagonisti vennero assassinati.


E, nel bel mezzo di un film che sembra essere... “normale”, Lynch inserisce una scena incomprensibile. Siamo dentro una centrale di polizia. Il detective interroga una donna sciatta e visibilmente sofferente. La donna confessa che deve uccidere una persona con un cacciavite, ma non sa chi è questa persona. Appena la vedrà lo saprà. La donna si alza la maglietta e ha un cacciavite conficcato nel fianco.

Spaesati e disturbati torniamo a Nikki e Devon che, nei ruoli di Sue e Billy, continuano a girare il loro film. Improvvisamente scatta qualcosa, nel film e nella testa di Nikki. Davanti al camino sta parlando con Devon/Billy: “Credo che mio marito sappia di noi... ti ucciderà”. Poi fa una piccola pausa: “Dio santo, sembra un dialogo preso dal nostro copione!” Il problema è che stanno girando e il dialogo è un dialogo del film, non della realtà. Il regista ferma le riprese: “Che cosa è successo?” si chiede. Nikki crede di parlare con Devon del tradimento che forse sta prendendo forma, pensa che la sua vita è uguale al suo film, ma lei è nel film.

Qualcosa si incrina. O si sovrappone. Ancora. La scena dopo, una scena blu, Nikki/Sue e Devon/Billy stanno facendo sesso. Il marito di Nikki li scopre e li spia. Ma Nikki chiacchiera e dice di ricordare qualcosa che avverrà domani.

E infatti, lei domani si trova nella stradina dietro il mercato. Ha appena fatto la spesa e ha parcheggiato davanti ai teatri di posa. Sul padiglione legge una strana scritta AXX°NN con una freccia. Nikki segue la freccia, entra e la seconda macrosequenza scivola straniante e paradossale nella terza. Nikki è nei teatri di posa, nei suoi teatri di posa, e osserva ciò che lei ha già vissuto: le prove durante le quali ha pianto. L'ombra è lei. E Devon insegue lei. Nikki, presa dal terrore, chiede aiuto a Billy, non a Devon. Si rifugia nella casetta, quella dove l'ombra era scomparsa. E vi rimane intrappolata. Guarda dalla finestra e fuori non c'è il set, ma un vero giardino.

In trappola.


Questa seconda macrosequenza è quasi un ponte. Ha il compito di rassicurare lo spettatore portandolo in un mondo finzionale quasi “normale”, con una storia comprensibile e dei personaggi definiti; ma allo stesso tempo si tratta di una realtà piena di crepe e di incrinature. La sovrapposizione più importante inizia a farsi vedere. Quella tra realtà e finzione. E si gioca tutta sulla persona di Nikki che sovrappone sé al proprio personaggio e viceversa, creando un inevitabile corto circuito che porterà al delirio della sovrapposizione nella sequenza successiva, la più lunga, la più complessa, ma anche la più accattivante.

Lynch gioca deliberatamente con il filmico e il profilmico (che, però, fa parte del filmico...!): noi spettatori abbiamo già capito che Devon ha intenzione di provarci con Nikki; per questo ci aspettiamo che da un momento all'altro tra loro nasca qualcosa. Quando Lynch monta le scene tratte da Il buio cielo del domani non ci dice che fanno parte del film nel film. Così, per alcuni istanti, abbiamo il dubbio: è il tradimento vero o il tradimento finto? Solo a scena conclusa e a stop urlato, quando il set è inscenato, comprendiamo che è Il buio cielo del domani che stiamo vedendo. Ma il dubbio rimane sempre. È su questo dubbio, chi è chi, cosa è cosa, dove e quando siamo, che Lynch basa tutto il suo film, specialmente questa parte, la seconda, che vuole essere la più semplice, ma che in realtà ha non pochi elementi di disturbo.

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