Un mio racconto su Prospektiva 50
Nell'ambito del Salone Internazionale del Libro di Torino, è stato presentato il numero 50 della Rivista Letteraria Prospektiva, dedicato all'ostinazione. Dentro ci sono anche io con un mio racconto che, per vari motivi, ho deciso stavolta di pubblicare per intero qui.
In questo numero potete trovare scritti di: Sacha Naspini, Gianluca Morozzi, Iacopo Barison, Cosimo Piediscalzi, Marco Marsullo, Tomasz Kuciewski, Matteo Trevisani, Daniele Piccinini, Carlo Palizzi, Veronica Mondelli, Simone Rossi, Massimo Lerose, Jeffrey Zani, ed un poema inedito di Gaston Malgieri.
Questa che potete ammirare è la meravigliosa immagine di copertina della rivista, realizzata dal grandissimo Luciano Cisi. Di seguito potete leggere, se volete, il mio racconto.
In questo numero potete trovare scritti di: Sacha Naspini, Gianluca Morozzi, Iacopo Barison, Cosimo Piediscalzi, Marco Marsullo, Tomasz Kuciewski, Matteo Trevisani, Daniele Piccinini, Carlo Palizzi, Veronica Mondelli, Simone Rossi, Massimo Lerose, Jeffrey Zani, ed un poema inedito di Gaston Malgieri.
Questa che potete ammirare è la meravigliosa immagine di copertina della rivista, realizzata dal grandissimo Luciano Cisi. Di seguito potete leggere, se volete, il mio racconto.
AUTORITRATTO
Indaco di donna e bambino con piccolo albero verde.
Indaco. Cobalto. Eliotropo. Seppia, sabbia, lilla. Acquamarina. Amaranto. Blu. Oro, verde, bronzo, carminio. Carminio. Rosso. Nero. Bianco. Ceruleo, cremisi. Ecru. Malva, pervinca, cremisi. Bianco. Nero. Grigio. Rame, scarlatto. Bianco. Nero. Buio. Fiore. Sole. Sesso. Foglia. Fiume. Pelle. Sole. Di nuovo buio.
Sono un mostro.
Un piccolo albero. Foglie verdi. Paesaggio viola. Tronco sottile. Come sottili sono le mie gambe. Come sottile è il palmo della mia mano.
Un mostro.
Di fronte ad una tela bianca, colori immobili, immagini che girovagano solo in testa. Nulla fuori. Solo un'insana voglia di poter fare. Di poter muovermi.
Urlare e poi l'impossibilità di guardarsi allo specchio. Immobili, io e i miei colori, di fronte ad una tela bianca che mai potrò imbrattare. Che mai potrà vivere. La tela bianca. Il mio specchio. Nello specchio, niente.
Scendono lacrime sul viso, un viso forse pesca, che non riesco a guardare. Scendono lacrime piene di grazia d'un azzurro fiordaliso. No, nulla a che vedere con la trasparenza dell'acqua. Scendono lacrime salate e nessun sospiro, nessun singhiozzo, nessuna richiesta d'aiuto uscirà dal profondo della mia gola rosso fuoco. Scarlatto, forse. Solo. Una. Insana. Voglia. Alzare le mani e sporcarle dei miei colori. Aggrapparmi alla mia tela. Solo questo.
Poi entra lei. Un sorriso avorio in un incarnato pallido di musa pura e devota. Entra lei. Vorrei spogliarla e dirle di sdraiarsi, al di là della mia tela. Vorrei dirle di sdraiarsi e di entrare nella mia tela. Come tante volte è accaduto in pomeriggi ombrosi sotto alberi di castagno, immersi in un mare smeraldo.
Solo un istante per portare i polsi agli occhi neri come il buio e asciugare lacrime salate senza un filo di voce. Entra lei e si porta quel peso, il mio e il suo. Accarezza il pancione. Penso. Autoritratto indaco di donna e bambino. Mi sorride con gli occhi color del sole-dietro-le-nuvole e mette in disordine il mio studio. I pennelli sono puliti e al loro posto. Li sporca. Per terra nessuna traccia di vernice. La getta. Lei e il mio bambino non guardano questa sedia su cui sono costretto. Non guardano la mia mano sottile. Guardano solo nel nero dei miei occhi e vedono tutti i colori che la mia anima fa esplodere.
Si inginocchia di fronte a me. Capelli corallo le sfiorano spalle di un'adamantina purezza. Si inginocchia di fronte a me, con un pennello zuppo di colore in mano. Me lo lega al polso. Al polso che regge la mia mano inerme e sottile.
Penso. Per lei non è cambiato nulla. Con le sue labbra ciliegia mi sorrideva sincera prima, di fronte al mio corpo fiero, alto, muscoloso. Mi sorride ora. Con le sue labbra ciliegia sincere e belle. Nessuna differenza. Solo una cosa. Lei crede ancora di più in me, ora.
Intinge l'altra mano in un secchio di vernice. L'altra mano che io mi rifiuto di usare. Quella ferma per lo shock, quella che, da quando il mio mondo si è capovolto, ha solo sfiorato il seno marmoreo di lei, in una notte di luna celata, quando ha germogliato un piccolo qualcosa.
Intinge la mano arresa e la porta alla sua guancia. La sfioro, l'accarezzo. Mi muovo. Mi spinge verso la tela.
Sono una mostruosa creatura d'arte.
Una mano imbrattata di colore e un pennello legato al polso. Lei che gira nel mio studio con il pancione e sorride.
Un mostro.
Il mio telefono ha smesso di suonare, perché io ho smesso di dipingere. Arreso ad un inevitabile non ancora accaduto.
Lei, però, non si è arresa. La sfioro con lo sguardo. Fissa un punto fuori della finestra. La luce entra e la illumina di profilo. Scandisce i suoi pensieri. Si sofferma su quella mano posta perennemente a sentire il calore del bambino. Chiude gli occhi. Capelli corallo si alzano leggermente per un afflato di vento. Socchiude le labbra, respira piano, d'un respiro bianco. Su una pelle color pesca. Tra pensieri glicine di fronte ad una finestra ecru in un giorno d'acquamarina.
Vedo qualcosa nello specchio di tela davanti a me. Vedo macchie di colore. Vedo forme nascere dallo sforzo atroce di un corpo che non ha mai smesso di voler dipingere.
Sento il perdurare di questo sforzo animare ogni singolo tendine. Sento la stanchezza, sento il dolore, ma posso resistere, devo resistere. Per le uniche cose belle che mi sostengono, che sono tutte qui, in questa stanza, lei, il mio bambino e i miei colori.
No, ora sono migliore. Migliore di prima. Seduto a fissare ogni singolo colore dei colori. Ogni sfumatura delle sfumature. E ogni macchia sulla tela è sudore e fatica e dolore che sa di gioia.
Nessuna resa. Io comincio da qui.
E lei torna verso di me. Amore mio dice e mi cura. E io non ho più paura.
C'è una grande tela, a terra. Fa scivolare le sue braccia sotto le mie. Mi solleva con una spinta disumana. Ma nessun cenno di fatica. Nemmeno uno. Mi solleva, ci solleva tutti e tre e poi ci lasciamo cadere sulla tela bianca.
Lei allarga le braccia e sorride, ride di una voce ottone che le nasce dallo stomaco. Dall'utero. Ride, perché in breve nessuno di noi due ha più un centimetro di pelle del nostro colore naturale.
Con le mie braccia impazzite eccolo che torna. Il piccolo albero. Piccole foglie di un verde lucente. Paesaggio viola, lilla, pervinca. Tronco sottile, ma sostenuto.
Amore mio dice e mi cura. E io non ho più paura.
Indaco. Eliotropo. Blu. Cobalto, corallo, verde. Scarlatto, carminio, cremisi. Verde. Rosso. Avorio. Puro.
I miei colori sono caparbi.
In questa tela, noi entriamo. Ora posso più di prima. Ora non mi arrenderò mai. In questa tela, noi, un coacervo indomabile di colori vivi.
Amore mio dice e mi cura. E io non ho più paura.
Amore mio. Dice. Amore mio.
E io non ho più paura.
Commenti
I miei migliori saluti
Tristam Strauss
Sono davvero onorata del fatto che tu l'abbia letto. Grazie.
I miei migliori saluti
Tristam Strauss