K-Pop Demon Hunters
Negli ultimi tempi il cinema d’animazione sta felicemente sperimentando nuove tecniche: senza essere addetti ai lavori o esperti del settore, è chiaro che le produzioni di Arcane o dello Spiderman Across the Universe abbiano puntato su una fluidità mai vista prima; un po’ digitale, un po’ effetto pittorico e il risultato è un circo ammaliante per gli occhi di chi guarda. Tralasciando il lavoro dello Studio Ghibli - sempre sia lodato! - una vera e propria isola felice dell’animazione, dall’altro lato dell’oceano, ultimamente ci troviamo di fronte ad un’estetica molto diversa rispetto a quella cui ci hanno abituato la Pixar o i suoi simili.
K-Pop Demon Hunters si muove sulla medesima falsariga - anche perché vi ha lavorato proprio il team di Spiderman. Il risultato è ipnotico e fresco, un film da guardare e riguardare perché non stanca mai. A sostenerlo, una storia frizzante e, per certi versi, inaspettata e, soprattutto, una colonna sonora che diventa presto tormentone - e, giuro, non esce più dalla testa.
Le Huntrix sono una band femminile di K-Pop; non solo: sono cacciatrici di demoni. Le tre ragazze, Rumi, Mira e Zoey, sono le eredi di una lunga tradizione di cantanti che, attraversando i secoli, hanno sconfitto il male con le armi e, soprattutto, con la musica. Con la “buona” musica: quella che accende - letteralmente e visivamente - una luce azzurra nei cuori di ognuno. Tuttavia, Rumi, la front leader del gruppo, nasconde un segreto: è metà cacciatrice e metà demone; porta i segni di questa sua “vergogna” sulla pelle delle braccia, che nasconde sempre alle sue amiche con abiti appropriati e rifiutando uscite alle terme. I suoi genitori, una cacciatrice e un demone, hanno saputo amarsi e dare vita a qualcosa di bello. Ma Rumi è combattuta, non accetta la sua parte oscura e fa di tutto per nasconderla e per dimostrarsi “perfetta”. Il mantra di chi l’ha allenata, infatti, è quello di non mostrare mai debolezza, mai alcuna incrinatura: solo una patina di costante forza, di divina perfezione. Se, all’inizio, Rumi è convinta di voler uccidere la sua natura demoniaca, si troverà poi a veder vacillare le sue certezze non appena incontrerà i nuovi nemici da affrontare: un gruppo di bellissimi e aitanti demoni che tentano di rubare l’anima delle persone nascondendosi dietro un’identità falsa, quella di una band k-pop maschile. Sono i Saja Boys e il mondo, in breve, impazzisce per loro. Il frontman della band, Jinu, un uomo che ha fatto un patto di sangue con i demoni e vive sotto il peso del suo gesto da oltre quattrocento anni, tra un combattimento e l’altro, farà sentire Rumi, per la prima volta, accolta: e la ragazza inizierà così, tra enormi difficoltà, il suo percorso di accettazione.
Il film è carico di temi e di suggestioni e il rischio di fare un disastro era dietro l’angolo. Eppure torna tutto, tutto combacia, tutto si unisce, tutto si comprende. Il contesto è decisamente interessante: la storia fantasy viene innestata in uno dei panorami musicali più sorprendenti degli ultimi anni, il pop coreano. Le Huntrix sono delle potentissime cantanti, una forza della natura, indipendenti, autonome, vero simbolo del girl power - e un chiaro riferimento alle Balckpink. I Saja Boys, un mix di delicatezza femminile e addominali scolpiti, risultano essere quel nucleo di efebica mascolinità e patinato erotismo che sono un’eco lontana di molti manhwa e che hanno trovato sfogo, nella realtà, nei citatissimi BTS.
Il riferimento alle band k-pop non è casuale: la musica pop coreana è un mondo di cui si evidenzia spesso l’estrema perfezione, frutto di una vita-non vita - quella dei gli artisti - votata esclusivamente al successo nel mercato discografico. Le Huntrix ne sono la rappresentazione perfetta: tra un nuovo singolo e l’altro non vivono neppure un attimo di pausa; il divano è solo un miraggio; e, quando possono gustarsi qualcosa da mangiare in aereo, prima dell’ennesimo concerto, sono costrette a combattere i demoni e a nascondere tutto il marcio che c’è nel mondo. Rumi e i segni viola che ha sulla pelle, marchio della sua natura demoniaca, sono l’incrinatura dell’intero sistema: lei è buona e quei segni lasciati dal padre non la renderanno mai una crudele mangia anime; eppure, sente il dovere di nascondere ogni stortura, di mostrare una vita che non è reale, perché così vuole il mondo. Scrive canzoni in cui auspica la sua rinascita, il mostrare la sua vera natura, ma non ci riesce. Tutto attorno a lei è patina perfetta, ma lei e il demone Jinu sanno che la vita è ben altro e che da sempre l’arte è arte proprio perché racconta gli opposti inconciliabili.
Il film è veloce e cattura come non mai: le canzoni si alternano con un ruolo perfettamente calato nella diegesi e non risultano mai fuori luogo. Il film può essere compreso nella sua linea più superficiale, quella fantasy, e risultare godibilissimo. A chi vuole leggere qualcosa di più profondo riesce ad ammiccare con tanti sottotesti poi non così troppo sottintesi. E, soprattutto, diventa un richiamo universale: quello di non vergognarsi mai di ciò che si è e di avere il coraggio di essere se stessi di fronte al mondo.
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