Win or Lose
Win or Lose è la prima serie animata prodotta dalla Pixar, composta da otto episodi che hanno una durata di poco inferiore alla mezz'ora.
Scoperta così, per caso, mi sono ritrovata di fronte a un vero, piccolo gioiello, che brilla per scrittura, regia, montaggio e rappresentazione immaginifica di concetti astratti.
Tutto ruota attorno alle vicende di una squadra di softball alla prese con una fatidica partita di campionato. La squadra è mista e i suoi componenti sono in piena preadolescenza. Arrivare alla partita diventa il pretesto per raccontare le storie dei ragazzini e delle ragazzine che cercano la loro casa base. Quello che avviene nell'arco temporale scelto - che è circa di una settimana - viene ripetuto nelle otto puntate da punti di vista diversi. La vicenda, quindi, si dipana e diventa chiara di puntata in puntata, come fosse un puzzle. Le cose, lì per lì, non tornano, poi i pezzi vanno al loro posto: capiamo perché le cose sono avvenute in quel modo, copriamo man mano le ore, comprendiamo scelte che nei primi episodi apparivano calate dal cielo o motivate da decisioni strampalate, si tappano i buchi della storia - e, man mano, i personaggi vengono scritti e descritti con sempre maggiore accuratezza.
Già, di per sé, la scelta di proporre lo stesso evento da punti di vista diversi ad ogni episodio è un'idea accattivante, che incolla letteralmente allo schermo; ma non c'è solo questo. Infatti, i protagonisti dei singoli episodi si portano addosso una paura, un’ansia o semplicemente un modo tutto loro di guardare il mondo: e paure, ansie, punti di vista diventano figurativi. Nella prima puntata, è protagonista la figlia del coach; la ragazzina sente il peso del giudizio del padre - che teme di deludere - e del giudizio della gente - che potrebbe pensare che la figlia del coach sia lì solo perché è la figlia del coach. Lo stress che prova la ragazza si tramuta in gocce di sudore e le gocce di sudore diventano un piccolo blob parlante che si posiziona sulle spalle della giocatrice: più ci si avvicina alla partita di campionato, più il blob aumenta e le sue parole si fanno taglienti. La ragazza smette di dormire e pensieri sempre più intrusivi la soffocano, finché il blob, divenuto gigantesco, non la sopraffa del tutto e parla per lei. Le paure sono visibili, tangibili, il punto di vista interno e l'interiorità dei personaggi si fanno immagini e il messaggio, allo spettatore, arriva forte e chiaro, tagliente e crudo. Gli otto episodi diventano un viaggio emotivamente faticoso eppure accattivante - e le puntate vengono viste tutte d'un fiato. Sono un pugno nello stomaco, a volte: la mamma supereroina, l’arbitro che costruisce un’armatura attorno a sé, la bambina che si vede adulta e il suo fratellino che vede il mondo come un gigantesco cartone animato: siamo continuamente sballottati dal generale (cosa succede durante la partita di campionato?) al particolare (le stratificatissime storie dei singoli); eppure tutto è narrato in maniera impeccabile, ingranaggi di un incastro perfetto. Alla fine dell’ottavo episodio noi, sul divano, rimaniamo sfiancati, pieni di emozioni diverse e complessissime, pieni di interiorità e mondi che hanno tutti ugualmente senso di esistere in quel modo forte, eppure fragile. Un viaggio intenso. Alla fine del quale prendi fiato. Ma poi speri di poter vedere presto la seconda stagione.
Commenti