Un anno dopo.




 Un anno fa scrivevo un post riflettendo su cosa fosse vivere ai tempi di un virus pericoloso e estenuante. Citavo Dostoevskij e van Gogh. 

Leggendo oggi il post di un anno fa, mi accorgo che le cose non sono cambiate - o forse sì. All’epoca non conoscevamo il virus, oggi abbiamo imparato a saperne qualcosa. Almeno che dobbiamo lavarci le mani spesso. All’epoca si aveva paura di uscire persino sul pianerottolo di casa, oggi no. Dopo sei mesi di distanza-presenza in classe con venticinque persone e mascherina ffp2, per forza di cose, impari ad affrontare la cosa. Undici classi e solo una di queste in quarantena - e, tra l’altro, senza interessare noi docenti. 

Oggi siamo più smaliziati. Continuo a far venire tutta la spesa a casa, più per motivi di tempo che di paura, e vado al supermercato una volta alla settimana per comprare quello che, online, non posso prendere - essenzialmente latte e burro e poi perché la farina buona per il mio licoli ce l’ha solo il supermarket. 

Continuo a essere convinta delle cose che sono necessarie - ora, in zona rossa, di nuovo in casa. Ora, per la prima volta, anche con le scuole dell’infanzia chiuse e in casa il delirio. C’è chi si lamenta perché ha i figli in casa e è costretto a recuperare il proprio lavoro dalle 22 alle 3 del mattino; io ho orari bloccati, con lezioni precise, un pubblico che mi guarda e mi ascolta, mentre tento di tenere a bada una peste giustamente irrequieta e che rifiuta di fare in casa i lavori della scuola. Io, invece, mi lamento perché non riesco a prestare l’attenzione che vorrei alla peste e a tutto il resto, oltre il lavoro, benché il mio lavoro sia, per me, più una passione che un lavoro... “normale”. Siamo diventati un po’ tutt’uno casa-lavoro-vita privata. Non so se sia un bene. Lo dirà il tempo. So che però ci sono spazi importanti per capire e crescere, come le scuole dell’infanzia e i loro giardini. 

So oggi che, pur tra mille difficoltà, la cosa giusta è distanziarci dai non conviventi. E chi si ostina a voler uscire a mascherine abbassate - che di solito è anche chi si lamenta che il governo non fa nulla e che dichiara di non volersi vaccinare - francamente non lo capisco. Potrei capirlo, sei esasperato sì, ma non lo capisco davvero: perché sta semplicemente mancando di rispetto al mondo attorno a lui; per se stesso mette in pericolo gli altri. Magari studiando medicina su Facebook. O affermando che la mascherina è un attentato alla propria identità, mentre la gente si ammala.


Insomma: la gente mi ha, come al solito, impressionato in negativo.

Un anno fa, avevo chiuso il mio post citando una delle infinite lettere al fratello Theo di van Gogh. Qualche settimana fa ho visto Loving, Vincent. Un film vangoghiano in senso strettissimo. Allucinante e allucinogeno. La realtà è filtrata dagli occhi di Vincent e noi ne veniamo abbagliati e disturbati. Gli occhi urlano, dopo due ore così. Gli occhi si arrotolano attorno alle macchie spiraliformi, si incuneano, fanno un esercizio infinito ed estenuante e alla fine lacrimano colore - non sangue. Noi dovremmo essere così, come Vincent: dovremmo essere in grado di buttare fuori il nostro colore e di urlarlo al mondo - solo il nostro colore. Dovremmo tramutare il sangue delle nostre ferite in colore, in tanti colori, in gialli luminosissimi e in blu profondi. Dovremmo essere in grado di mostrare il bello di noi anche nella sofferenza e nel dolore: se così non fosse stato, non avremmo avuto l’arte. Vincent era solo, forse malato, di sicuro alle prese con un mondo che non lo capiva fino in fondo. Eppure, quel mondo lo ha raccontato, colorando i paesaggi e le persone attorno a lui, anche le più chiuse e antipatiche, con toni fuori del comune - vivi, in grado di sottolineare ciò che è e ciò che non è, le ferite e la cura a quelle ferite. Ha solo mutato una consonante: dolore in colore.

Vincent è morto in condizioni ancora poco note; il fratello Theo lo ha seguito poco dopo. Di lui sono rimasti i racconti, le lettere e le sue immense opere. La grazia delle sue parole e la purezza dei suoi pensieri, quelli di un uomo che guarda alle cose in modo cristallino. 

Per uno che è così, un’umanità intera rimane nera e vomita parole nere e pensieri neri e oscura il mondo.

Per fortuna che abbiamo delle guide, degli squarci luminosi e abbaglianti, che ci mostrano la via, come Vincent. 

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