Vacanze family friendly: come sopravvivere, tornare bambini e divertirsi



Estate tempo di vacanze. 

Chi non vorrebbe oziare sotto l'ombrellone, magari leggendo un buon libro e godendo di una leggera brezza marina o sdraiarsi su un prato verdissimo in alta montagna dopo una temprante camminata in salita? O passeggiare per piccoli, antichi borghi italici pieni di sorprese, angolini e scorci romantici e poi infilarsi in una cantina per rifocillarsi con un buon vino rosso del 1875 accompagnato da formaggi e affettati locali fatti esclusivamente a mano, pregustando una tranquilla capatina nel museo dell’opera di un qualche duomo e ripassando a mente, facendo ondeggiare il suddetto vino, tutte le caratteristiche storico-socio-economico-artistiche del luogo?

Tutti lo vorrebbero.

Ma se sei genitore: non puoi.

Con bambini molto piccoli le vacanze vanno completamente riviste. 
E non starò qui a dire a cosa abbiamo rinunciato o a cosa rinunceremo. Semplicemente mi sono messa e mi metterò in un’ottica diversa e vedrò solo quanto guadagnerò.

Vi parla una persona che ama il mare in inverno, ama il fresco, ama essenzialmente girovagare come descritto nell’ultimo punto di domanda. O meglio: amava. La gravidanza e la maternità cambiano molto i gusti o comunque cambiano il modo di approcciarsi alla vita. Soprattutto se il proprio bambino, come è giusto che sia, è pervaso da una vivacità incontrollabile.

Mi limiterò a stilare un elenco di cose da fare sulla base di esperienze personali. Cose ovviamente da non vedere in modo assoluto, perché i bambini sono tutti diversi e ognuno ama fare cose diverse. 

Se il vostro bambino è particolarmente vivace, evitate i borghi, le città d’arte, i ristoranti bio-chilometrizero-miseenplacehipster perché si romperà le scatole. 
Ho voluto fare una prova. 
Un weekend a Siena. 
Fiorentine, Brunello, musei, duomo, DONATELLO-GHIRBERTI-JACOPODELLAQUERCIA, Duccio e la sua Maestà, Piazza del Campo eccetera eccetera. 
Nulla di tutto questo.
Ho capito come sarebbero andate le cose quando la mia peste, a Piazza del Campo, ha deciso di rotolarsi seguendo le scoscese diagonali dell’opus spicatum. 
Impossibile fare file per entrare in un Museo, un giro di corsa nel Duomo, perché in una Chiesa non mi piace sentire confusione e quindi non mi piace essere l'artefice della confusione, un giro un pochino più ragionato nel Battistero, solo perché la peste dormiva, ma trasportare il passeggino su per tutti quei gradini è stata una fatica enorme. 
Per fortuna, poi, che siamo rimasti solo due notti: la prima sera, al ristorante, la peste, trovandosi in un posto nuovo, ha deciso di dover esplorare tutto. Noi, con l’ansia di disturbare gli altri commensali, abbiamo lanciato le cose nello stomaco, senza masticarle, e per di più a turni, prima mangiavo io, poi mio marito - e viceversa. La seconda sera abbiamo optato per un più tranquillo, informale e familiare servizio in camera.

Ci sono due cose che, da questa necessaria esperienza, ho evinto. 

  1. La prima è che il problema, per i genitori, non sono i figli. Sono gli altri. Una signora molto carina e molto gentile, proprietaria di un negozio senese, ci ha semplicemente fatto notare che i bimbi non sono irrequieti, ma vivi. E la loro vivacità è una benedizione. Hanno bisogno di vedere ed esplorare un mondo per loro totalmente sconosciuto e la loro curiosità nei confronti di quel mondo è la benvenuta. Sono gli altri purtroppo a giudicarti subito come genitore ignorante e che educa male il proprio figlio. Sono molti quelli che, dimenticandosi di esserlo stati, non sopportano i bambini. Se un infante al ristorante piange, guardano sempre prima la madre - perché non lo sa calmare? Perché non gli  dà da mangiare? Perché non gli dà la tetta? Perché ancora con questa tetta? Perché non lo sa cullare? Perché non lo porta fuori? - e poi guardano il padre - perché non sa aiutare la madre? Perché non lo porta fuori? - ignorando spesso che se un bambino ha una crisi, vuole solo sentire il calore materno. 
  2. La seconda cosa è che i bambini ti fanno tornare un essere animale scevro da troppe costruzioni e sovrastrutture tutte umane. Non siamo entrati al Museo dell’Opera del Duomo di Siena, c’era una piccola fila ma la nostra peste giustamente non l’ha sopportata. Ai primi pianti siamo fuggiti e ci siamo rifugiati in un piccolo parco appartato. Lì, la peste si è calmata, rotolandosi per terra e raccogliendo fiorellini. Ecco: da un po' di tempo non sopporto più neanche io di stare chiusa in casa o stare ferma a fare cose troppo intellettuali. In quel momento, ho pensato alla polverosa puzza di chiuso e umido che hanno i musei, li ho odiati, ho respirato l’aria aperta del parco e, qualche mese dopo, ho avuto il coraggio di dire ad alta voce che io a passeggiare, ciondolandomi, dentro un museo mi stufo facilmente. Preferisco guardare le cose velocemente, non tutto, soffermarmi giusto su qualcosina, e poi uscire. Preferisco i siti “reali”, chiese, ville, città sepolte, perché pur nei vari rimaneggiamenti sono più vivi di un museo. (Cavolo, come sono futurista!). Ho ripensato anche che quando ero all'università, nonostante i voti alti, non ero la classica studiosa leopardiana: più di mezz'ora seduta a leggere non riuscivo a stare. Mi davo un tempo: tra venti minuti mi alzo, mi infilo le cuffie nelle orecchie e passeggio ascoltando la musica. Se lo studio e le scadenze si facevano più pressanti e la pausa musica non era possibile, allora mi alzavo a leggere il libro in piedi, arrampicata sulla finestra - e il ripasso ad alta voce avveniva sempre camminando. La maternità non ha fatto altro che farmi accendere la luce su un aspetto della mia persona a cui non avevo mai dato peso e che invece è fondamentale: ho bisogno di fare e muovermi, fin quasi al confine con l'iperattività.


Ho quindi aggiunto un altro tassello alle motivazioni per cui è bello avere figli: quello di rinascere come essere naturale (se così si può dire) e di riscoprire pian piano le cose vere, reali, come il sole che ti colpisce, l’aria che respiri, la punta dell’erba che ti accarezza le caviglie. 

Entrambe le conclusioni a cui sono arrivata, mi hanno resa più cosciente di quello che posso o non posso, ma soprattutto voglio fare quando sono fuori casa.

L’elenco che stilerò vale essenzialmente per noi. Se qualcuno ci si riconosce, ben venga, ma lungi da me voler essere universale. 


  • Per prima cosa, sono del tutto contraria a lasciare i figli a casa per fare un’esperienza in due. Sì, la coppia deve essere sempre coppia e bla bla bla. Ma i bambini sono piccoli per poco tempo, poi crescono e corrono verso le proprie attitudini. Come tuo figlio ti farà rinascere, facendoti ricordare cose che avevi dimenticato, così tu genitore inizierai tuo figlio alle belle esperienze. Quando sarà il momento, torneremo al cinema o viaggeremo per più di due ore e mezzo. Per ora procediamo a piccoli passi, come se anche noi avessimo un anno e mezzo, ma soprattutto: INSIEME.
  • Se decidiamo di andare a mangiare fuori, tra un pranzo e una cena preferiamo sempre un pranzo. A cena i bambini, di solito, tendono a scaricare lo stress accumulato durante la giornata e facilmente piangeranno o avranno qualche piccola, apparentemente inspiegabile crisi. Si può decidere di andare a cena fuori se il bimbo ha dormito bene e molto durante il pomeriggio o se si entra in un locale per cenare alle 18,50 circa, in modo tale che alle 20 si stia già pagando il conto e si incontrino gli altri commensali solo di sfuggita. 
  • La scelta del ristorante deve avere caratteristiche particolari (vi rimando all’ultimo numero di UPPA, il 101, che ha realizzato un interessante articolo in proposito). Meglio se family o baby friendly: di solito sono posti con un’area giochi e in cui il personale è abituato a vedere bimbi scorrazzare per il ristorante. Inoltre, sarà un posto con altre famiglie e altri bambini. Questo, psicologicamente, aiuta molto i genitori. Nessuno farà caso al bimbo che lancia la pasta o che scivola dal seggiolone per correre sotto il tavolo e giocare. Quando nessuno fa caso a questo perché tutti si trovano nella stessa situazione, allora l’atmosfera è davvero più rilassata e paradossalmente ci si gode molto di più il pasto.  
  • Meglio, poi, se il ristorante ha un ampio giardino, meglio ancora se è un agriturismo o una fattoria didattica. A quel punto i canali di sfogo per i bambini saranno molteplici e anche il genitore potrà godersi un po’ di aria aperta tra una portata e l’altra, rilassandosi davvero. 
  • In fondo, il concetto è: tornare bambini. Se in posti del genere ci si ostina a fare l’adulto genitore educante si esce stressati e sconfitti. Se si torna bambini e si vede il gioco in ogni angolo così come lo vede tuo figlio sarà tutto molto più divertente. 
  • Se il locale scelto non è family friendly, allora meglio sceglierlo sulla base di alcune informazioni, come lo spazio per parcheggiare il passeggino o la disponibilità di seggioloni. Dopo una serie di esperimenti, ora sappiamo in quali ristoranti andare, anche se non esattamente attrezzati per i bambini: di solito sono ristoranti dotati di spazi ampi e, soprattutto, con un personale estremamente gentile e incline a giocare e a scherzare con il bambino. 
  • Se si vuole andare in vacanza, i criteri sono i medesimi. Nel nostro caso, si scelgono mete adatte a incanalare al meglio la vivacità della peste (e, soprattutto, che permettano viaggi di poche ore, meglio se al di sotto delle tre, dato che più di tanto, sul seggiolino, non riesce a stare). Quindi, borghi o città d’arte potranno aspettare; ben venga, ad esempio, il mare. Penso anche che escursioni in montagna potrebbero essere grande fonte di curiosità e gioia, ma al momento ci sembrano piene di pericoli per un esserino barcollante di diciotto mesi.
  • Gli hotel devono essere espressamente attrezzati per i bambini, così come le spiagge. Ormai gli stabilimenti balneari riportano sui loro siti le caratteristiche principali: se la spiaggia ha l’area giochi e un fondale molto basso, si sceglie quella senza ombra di dubbio. Se la spiaggia è dedita ad aperitivi e a vita notturna e rivolta a adolescenti e giovani è da evitare come la peste, così come quelle spiagge che propongono corsi sportivi acquatici. Tutto deve essere a misura di bambino: e se lo è sarà anche a misura di genitore.
  • Nel mio caso, evito anche i posti con l’animazione: musica a tutto volume e giochi di gruppo urlati non fanno per me, per noi e per la peste, che con un’altalena, uno scivolo e un po’ di sabbia trova tutto ciò di cui ha bisogno per divertirsi. 

Le cose importanti forse sono essenzialmente due: circondarsi di persone come voi e con le vostre stesse esigenze. E poi pensare di andare non a far divertire solo il proprio bimbo, ma di andare a divertirsi con il proprio bimbo. In poche parole: tornare bambini. 


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