Cosmopolis
Anno: 2012 - Nazionalità: USA - Genere: Drammatico, Distopico - Regia: Davd Cronenberg
Cosmopolis è un film difficile e
indigeribile. Arduo catalogarlo e inserirlo in una scala di valori -
c'è chi potrebbe gridare al capolavoro, chi allo scandalo e chi
potrebbe soffermarsi su tutte le sfumature tra i due estremi.
David Cronenberg adatta l'omonimo
romanzo di Don DeLillo: lo scrittore si fa portavoce dei tempi,
interprete della società, giocando con la mente e i flussi
temporali. Eric Packer è un ventottenne multimilionario - se non
multimiliardario. Una mattina, decide di dare sfogo ad un rituale:
aggiustare il taglio. Monta sulla sua lunghissima e ipertecnologica
limousine bianca e attraversa la città per raggiungere il suo
barbiere di fiducia. Ma in quel giorno sembra che a New York si sia
scatenato l'apocalisse: la città è bloccata, si procede a passo
d'uomo. C'è in visita il Presidente degli Stati Uniti. Si celebra il
funerale di una star del pop. C'è una protesta violenta in corso. In
più, ci sono due minacce: una al presidente e una diretta a Eric
Packer. Ma il ragazzo non demorde. Deve aggiustare il taglio. Nel
corso del tragitto, sulla sua limousine salgono i più disparati
personaggi: l'amante, il consulente finanziario, il socio, il medico,
il consulente teorico. Tra loro si dipanano dialoghi infiniti, privi
di apparente collegamento e logica - alle domande non si risponde o
si risponde con tutt'altro. Ogni tanto Eric scende dalla macchina:
due volte per incontrare una moglie con cui condivide solo ricchezze,
ma non amore; per incontrare un'altra amante; per prendersi in faccia
la torta di un dissidente; per aggiustare il taglio; per uccidere;
alla fine, per la resa dei conti. L'intenzione – chiarissima – è
descrivere la nostra società, priva di storia, di tempi, di luoghi,
priva di simboli riconoscibili, ridotta ad un identico ed eterno
presente, quella dei soldi, della crisi economica, dei ricchi
ricchissimi e dei poveri sempre più poveri, dell'assenza di
ideologie, della mancanza di valori, comunicazione e amore.
Cronenberg gira un film ricco di pregi
e di difetti.
I pregi. Cronenberg rende benissimo
l'idea di situazione soffocante e occlusa. La rende attraverso la
ciclicità dei dialoghi che si ripetono ridondanti e si adagiano su
se stessi senza dire nulla più di ciò che già hanno detto. Il
sonoro si scontra contro sequenze d'un ovattato silenzioso
disturbante. Il tempo non è una linea cronologica, è un punto che
si ripiega su se stesso. La fotografia è eccelsa, elettrica, algida,
fluorescente e riflettente. Comunica molto bene l'idea di un mondo
distopico, che poi, però, troppo lontano da noi non è. Un pregio
fondamentale è dato dal finale/non finale. Il film non finisce,
meglio, si conclude in un nulla, così come è l'esistenza umana
contemporanea, che non ha fine, ma si ripete in un ciclo in cui i
corpi - anonimi, spersonalizzati - sono tasselli volontari o
inconsapevoli di un ingranaggio enorme e indistricabile. Il finale
nullo o non-finale è un espediente molto buono, che apre scenari
finora poco praticati nelle tecniche di narrazione.
I difetti, tuttavia, si sentono. Il
primo, grande e forse unico difetto, quello che trascina ogni altra
cosa, è la verbosità. Probabilmente Cronenberg rimane vittima della
letteratura a cui si ispira e dimentica che sta girando
un film: i dialoghi sono infiniti e snervanti, ridondanti, ciclici, filosofici, troppo chiari. È vero, sono la cifra stilistica
dell'intera narrazione: ma il film finisce per reggersi solo sui
dialoghi, spazzando via tutto il buono che poteva essere creato.
Infatti, in nome del dialogo eccessivamente verboso, Cronenberg gira
un'opera fatta di soli primi piani statici, immobili. Al massimo si
diletta in controcampi e le uniche variazioni sono la scelta del controcampo interno o esterno. Giocato tutto sul primo piano o sul piano americano,
Cosmopolis non approfondisce alcuni elementi registici che avrebbero
potuto essere di grande effetto: quei pochi movimenti di macchina, i
pochi momenti in cui Eric si muove, sono ridotti all'osso e non
analizzati con il dovuto approfondimento.
In fondo, il cinema è immagine: le
storie si raccontano per colori, azioni, inquadrature, movimenti di
macchina e, sì, anche dialoghi, ma entro certi limiti. O, meglio: il
dialogo o il monologo verboso possono andar bene purché vi
corrisponda uno degli elementi preponderanti del cinema, la
costruzione dello spazio. Il cinema ha saputo fare ciò che altre
arti non possono fare: la costruzione dello spazio attraverso il
montaggio, spazio che può essere molto più grande o molto più
piccolo di quello reale; può essere inverosimile, onirico,
essenziale. Cronenberg rinuncia a costruire uno spazio, non ne
costruisce né uno credibile, né uno onirico, ma crea solo quadri. I suoi dialoghi non
sono attentamente supportati dal cinema, rimanendo una mera
elencazione di parole, domande e frasi che si sarebbero potute
leggere direttamente nel libro.
Rinunciando allo spazio e alla sua
costruzione, Cronenberg gira un un antifilm.
Si possono enumerare film su film in
cui la verbosità accompagna il cinema (e viceversa). Basta citare il
recente Faust di Sokurov. Ma basta pensare ai dialoghi - peraltro
neppure troppo pomposi - che Godard mette in bocca ai suoi
protagonisti ne Il disprezzo, creando corridoi e muovendo
sinuosamente la macchina da presa tra un corpo nudo, una frase, un
letto, un quadro, una finestra. Esempi altissimi. Che dire di Lynch?
Lynch dimostra che si può fare filosofia con le immagini. Il doppio,
il sogno, il tunnel tra mondi paralleli, il ragionar sulla finzione e
lo statuto della realtà... Lynch costruisce spazi di una complessità
inusitata, spazi che però fanno il cinema, spazi in cui il cinema
vince: e i dialoghi, seppur strani, allucinati e allucinanti, vengono
assorbiti bene dalle immagini, dando subito un senso inesplicabile,
ma comprensibile. E, soprattutto, rendendo il film fruibile.
Il senso, al cinema, si genera dalle immagini.
Cronenberg, invece, spiega tutto: parla
dei soldi, del tempo, svela a parole anche il mistero del film
(l'asimmetria, l'incontrollabilità degli eventi, il caso). Alle
immagini lascia poco. Se avesse lasciato parlare le immagini più che
gli attori, riducendo i dialoghi all'osso o comunque limandoli,
avrebbe creato un film molto più convincente, più onirico,
inquietante e disturbante (nel senso positivo dei termini).
Convince, infatti, quando dà spazio
all'inquadratura: convince quando alla fine Eric cessa di parlare, sente,
esplora un luogo abbandonato e caotico, reso bene nelle sue
potenzialità soffocanti, oniriche, facendo scorrere addosso allo
spettatore la tensione. Il dialogo finale col suo possibile carnefice
è supportato da una migliore divisione in inquadrature e spazi, ma
finisce ugualmente per essere ridondante più del dovuto.
La ridondanza è la cifra stilistica di
questo film, si è già detto, ma avrebbe potuto essere ottenuta con più cinema e meno
letteratura.
Pattinson si cala bene nella parte.
Parla, si esprime, ma non sente. Geniali solo i
dialoghi tra Eric e la moglie – gli unici ad avere un mordente
cinematografico. L'aspetto fisico del protagonista muta nel corso del
film, ma la sua anima (se mai esiste) è spenta: unici sussulti –
ma solo dello spettatore – sono i colpi di pistola, inaspettati e
azzeccati. Eric vuole provare emozioni forti, ma continua a non
sentire: il suo personaggio, volutamente, rimane indifferente allo
spettatore. In questo, l'attore ha fatto un buon lavoro, cosa di
sicuro di gran rilievo per la sua carriera, dal momento che, recitando
per Cronenberg in un film difficile e comunque da vedere, si è
tolto di dosso la maschera del vampiro.
Commenti
Premetto che sono del partito della revisione dei film: per essere capiti in tutte le loro sfumature (almeno per come sono fatta io!), i film vanno rivisti. Al momento, non so dare un giudizio definitivo sull'opera di Cronenberg e questo può essere positivo, significa che è un film problematico e fluido. Forse, ora vedo più difetti che pregi. È possibile che tra dieci anni, rivedendolo con maggiori chiavi di lettura, il mio giudizio cambierà.
Adesso, penso che l'adattamento cinematografico di un romanzo debba essere infedele. Le parole devono adattarsi e tradursi in immagine e "tradursi in immagine" significa che le parole devono diventare arte figurativa. I due linguaggi sono diversissimi. Nel cinema, parole e immagini devono dialogare tra loro: i dialoghi non possono essere incollati semplicemente alle immagini; i dialoghi devono scontrarsi con l'immagine (e viceversa) per creare senso in maniera totale.
Ci sono scene che ho amato, altre che mi hanno colpito. Altre che reputo superflue. Altre coerenti (come gli intervalli scanditi dagli incontri di Eric con la moglie). Molti dialoghi sono stati geniali, altri eccessivi e ridimensionabili: in fin dei conti, l'impressione di inquietudine, disturbo e onirismo, Cronenberg me l'ha lasciata grazie alla fotografia, al rapporto silenzio/sonoro della musica, da certi allestimenti di scena lancinanti e convincenti, come la sequenza in cui Eric si trova improvvisamente solo, alla fine del suo viaggio.
Cronenberg, proprio perché Cronenberg, avrebbe potuto smontare molto meglio il romanzo e farlo proprio in maniera più radicale. Ha tutte le capacità per fare questo. Inoltre - e forse non è giusto quello che sto per dire - dalle premesse del film si poteva evincere un finale diverso. Credevo che la minaccia di Eric fosse Eric. Sono tuttora convinta che se Conenenberg (e DeLillo) avessero parlato dell'autodistruzione della nostra società avrebbero colpito molto di più. Ma questo è il processo creativo dell'autore e oltre non mi posso spingere nel parlare.
:-P
Comunque non so se mi ispira veramente come film... non credo che andrò a vederlo, ci penserò su ancora un po'.
Mi piacerebbe molto vederlo prima del colloquio orale della maturità perché in fondo mi è sembrato di cogliere sfumature presenti nella mia tesina.. Spero di potere andare a vederlo!
Di sicuro potrebbe esserti utile vederlo, ha numerosi spunti filosofici. Secondo me può avere anche qualche aggancio col marxismo. Buona giornata e in bocca al lupo!!
Dopo aver amato il libro, adesso sono curiosa di scoprire questa pellicola tratta dalla controversa penna di Don de Lillo.
La tua recensione, cara Veronica, è davvero a 360°; esaustiva e piacevole come sempre lo sono i tuoi scritti. Le tue note positive e negative nei confronti di questo film così liquido e pregno di smaterializzazione sono certa che mi consentiranno di gustare al meglio e con un buon bagaglio di utili informazioni la visione: grazie!
PS: Cosmopolis...Metropolis....stuzzicante assonanza, anche se non so se il primo tra qualche decennio potrà essere riscoperto e rivalutato con occhi diversi, perché i capolavori restano capolavori (sia letterari che cinematografici!) ed il secondo lo è;-)
Soprattutto il discorso sul problema principale di questo film.
Solo, mi permetto un accenno: hai visto Carnage di Polanski?
Ammetto che m’è parso davvero curioso come due registi d’una certa età (filmica, non solo anagrafica) siano finiti a girare due pellicole per certi versi così simili, per l’impostazione votata al dialogo costretto in spazi chiusi, prima di tutto, ma pure per il tentativo d’affondo.
Concludo scrivendo che in sala ero attorniato da spettatrici attirate dal protagonista.
Totalmente impreparate.
Ebbene?
Non nascondo il piacere di essere stato presente a questo rito d’iniziazione cinefila d’autore…
I miei migliori saluti
Tristam Strauss
Anche alla proiezione a cui ho assistito io erano presenti adolescenti lì per Pattinson. Non so cosa abbiano pensato, ma è probabile che fossero del tutto impreparate, come dici tu. Proprio rifendomi a ciò che ho visto in sala ho scritto le ultime righe della recensione, quelle su Pattinson e il vampiro. Di sicuro, dopo una saga leggera come Twilight (che non ho visto, ma so quale operazione vi è dietro), il ragazzo ha avuto coraggio a mostrarsi con Cronenberg e con un film per nulla facile.
Detto ciò, purtroppo Carnage mi manca. Vedrò di recuperarlo e fare il raffronto che proponi. Tuttora, a freddo, rimango del parere che qualche frase in meno e qualche estro registico in più avrebbero giovato all'economia del film.
Ora ti confesserò una cosa. Ho seguito (da lontano, naturalmente, visto che il traduttore del libro non viene generalmente coinvolto nell'adattamento dei dialoghi per il cinema) con molto interesse la produzione del film, e all'inizio ho pensato "uhm, avrei preferito che lo girasse Lynch" (da cui si deduce che non amo molto Cronenberg). Poi ho ceduto all'entusiasmo e non vedevo l'ora che uscisse. E infine ho visto il trailer italiano e ho capito tutto. I dialoghi. Li avevano lasciati praticamente intatti. Filosofici, irreali, verbosi e rarefatti allo stesso tempo. Lo stile di DeLillo, inconfondibile e unico nella scrittura ma insopportabile, almeno a mio parere, in un film.
E così il film non sono andata a vederlo. Aspetterò, lo affronterò con calma. Nel frattempo ti ringrazio, perché la tua recensione mi ha un po' incoraggiata.
Sapevo bene che eri stata tu a tradurre Cosmopolis :). Effettivamente, dialoghi così approfonditi, lunghi, filosofici ed estenuanti in un film sono poco sopportabili. Avrebbero almeno dovuto coinvolgerti nel doppiaggio italiano, visto che hanno lasciato praticamente intatto il tuo lavoro!
A presto!