PROIEZIONI NOTTURNE - Friday Night Lights, quarta stagione

Season four di Friday Night Lights conclusa. Questa serie televisiva non smette mai di stupire. Diventa parte della vita quotidiana dello spettatore ad un livello tale che poi è difficile separarsene. E si scalpita nell'attesa della quinta stagione che, da quel che sembra, sarà l'ultima.

Con la quarta stagione gli autori si inerpicano per un sentiero parecchio tortuoso: sfidano la familiarizzazione del pubblico. Il cambiamento è netto e particolarmente audace. Alla fine della terza stagione, escono di scena molti dei protagonisti che avevamo seguito per tre anni: il fenomeno della squadra, Brian “Smash” Williams, vince una borsa di studio per entrare alla TAMU; l'altro fenomeno, l'ex quarterback divenuto paraplegico, Jason Street, si trasferisce a New York (la linea narrativa di Jason è probabilmente la più bella e la più commovente); Lyla Garrity e Tyra Colette entrano entrambe a due università prestigiose. Ma la cosa più sconvolgente è un'altra: il coach Eric Taylor – protagonista, nonché magnetico eroe dei Dillon Panthers – viene estromesso dalla squadra in seguito ad una serie di giochi economici. Nel frattempo la città di Dillon, per direttive del governo centrale, viene divisa in due distretti: si vengono a creare così due licei diversi e, di conseguenza, due diverse squadre di football. Il coach Taylor è praticamente senza lavoro; tuttavia si cerca una via per il risarcimento, una sorta di contentino che sembra quasi una punizione: potrà allenare la nuova squadra creatasi, quella dei Lions della East Dillon.
E non è una cosa così semplice.
Mentre i Lions apparetengono all'East, i Panthers appartengono a West Dillon. Dire East o West, in una città americana, vuol dire parlare di due realtà opposte e (apparentemente) inconciliabili. West Dillon è la parte ricca e “bianca” della città. Quella che si sta corrompendo dietro soldi facili e atteggiamenti da supereroi; i Panthers, infatti, ora si sentono i padroni del mondo e del football. East Dillon invece è il ghetto della città: case fatiscenti, gruppi di bande armate, ragazzi da recuperare e minori in carcere. L'East raccoglie tutta la comunità nera di Dillon.
Da così...




... a così

Il coach Taylor non batte ciglio. Abbandona il suo berretto blu, indossa quello rosso dei Lions e si appresta ad allenare una squadra tutta da costruire, tutta da motivare, in un campo abbandonato e distrutto. Gli spogliatoi sono baracche, le divise sono consumate e non ce ne sono abbastanza per tutti. Il contrasto è netto. Da eroe locale di una squadra fortissima, il coach Taylor viene relegato nel ghetto, in una squadra disadattata e presa continuamente in giro.
E qui torna la frase che aleggia per tutta la serie: Clear eyes, full hearts. Can't lose!
I Panthers sembrano averne smarrito il significato. Invece, questo è il concetto che il coach porta subito tra i Lions. Nonostante negli spogliatoi rossi ci sia scritto Never out of the fight, durante il primo giorno di allenamenti, Taylor parla di occhi puri e cuori limpidi; quel primo giorno, il coach, tra giocatori scettici e sguardi indifferenti, riceve la risposta “Can't lose!” solo da Landry Clarke, ex Panther, costretto a trasferirsi tra i Lions per via della divisione cittadina in due distretti.

Inevitabilmente entrano in scena personaggi nuovi, membri dei Lions e non. Ex Panthers per via del diploma, rimangono in FNL soltanto il bel Tim Riggins, ormai icona della serie tv e Matt Saracen, il nome del cui attore, Zach Gilford, non compare tra gli interpreti principali ma sempre tra le guest star. Anche il destino assegnato ai due eroi della serie può essere un'arma a doppio taglio. Tim e Matt, infatti, hanno finora goduto del loro status di fullback e quarterback campioni del Texas. Adesso sono completamente anonimi. Tim vive in una roulotte. Attorno a lui aleggia il fantasma del “33”, il numero che portava sulle spalle quando giocava. Tim rinuncia alla borsa di studio alla San Antonio University e decide di tornare a Dillon, dal fratello e al suo lavoro di meccanico. Ha intenzione di vivere una vita semplice, di avere una terra tutta sua e un porticato da cui osservare il mondo bevendo birra. Matt rinuncia ad andare alla Scuola d'Arte di Chicago, ma a Dillon si sente stretto. Ad ogni puntata smania, sembra un animale in gabbia e soffre, combattuto da un dilemma non sempre così facilmente individuabile: stare con le persone che ama o vivere d'arte libero da ogni peso?

Come dicevo, il lavoro degli autori, incentrato solo su tredici puntate, appare molto audace e rischioso. Il rischio è proprio quello che, cambiando così tanto le carte in tavola, si possa perdere pubblico. Per tre stagioni ci si è abituati a tanti personaggi e specialmente a tifare Panthers. Ora i Panthers sono i nemici. In ogni caso l'operazione riesce e riesce anche bene: perché protagonista della storia non è la squadra blu dei Panthers, ma il coach Taylor con i suoi valori incrollabili. Importante è non smarrire il significato, la base di tutta la storia attorno alle luci del venerdì sera.
Dire Friday Night Lights significa parlare dei sogni, delle speranze e dei sentimenti puri che animano l'essere umano nelle sue lotte quotidiane. Quando s'accendono le luci, s'accende anche qualcosa di molto più importante nei cuori e negli occhi di chi gioca. Ora sta ai Lions poter godere di quelle luci: i Lions devono essere costruiti dalla base, devono crescere, devono amalgamarsi. Hanno una serie infinita di difficoltà, ma grazie al coach Taylor e ai suoi insegnamenti riescono in quello che fanno, anche se passano la stagione a perdere ogni singola partita. Ecco, questo è un altro elemento importante: per tutta la serie ci identifichiamo in una squadra che, per ovvi motivi logistici, non fa che subire sconfitte. Viene presa in giro e derisa, non si abbatte e perde ancora.
Friday Night Lights ha sempre portato avanti anche un altro concetto non meno importante. Questo concetto è espresso con evidenza nel lungometraggio “Friday Night Lights”, ambientato sul finire degli anni Ottanta, e viene ripreso alla fine della terza stagione della serie. L'importante non è vincere. E non basta aggiungere la banalità “l'importante è partecipare”. No. Importante è giocare e combattere ed essere soddisfatti della propria lotta anche se questa non dovesse andare a buon fine. In qualche modo, si può vincere anche se si perde. I Panthers, alla fine della terza stagione, arrivano in finale. Giocano contro una squadra fortissima e si battono con tutte le loro forze. Perdono per pochissimi punti, ma l'impressione è quella di aver vinto. La sequenza di quella partita è girata in modo superbo. Nonostante si tratti dei momenti concitati della finale, si opta per un ralenti, per la musica lenta degli Explosions in the Sky, per inquadrature su particolari. Quando la palla avversaria viene calciata, il ralenti ne mostra il percorso, durante il quale vengono fermate e catturate piccole intensità: i ragazzi dei Panthers che si prendono tutti per mano e sperano ancora, gli sguardi dei tifosi in ansia, gli occhi lucidi del coach Taylor. E poi ancora la palla che entra tra i pali, la squadra avversaria che esulta e le teste basse dei Panthers. Il coach Taylor fa un bel discorso, dice ai ragazzi di sentirsi orgoglioso come non mai, nonostante la sconfitta.

Per i Lions è pressapoco la stessa cosa. Giocare a football non significa vincere la partita, ma poter stare insieme, uscire dal ghetto, allontanarsi dalle bande criminali, liberarsi di certe oppressioni. Significa vincere, anche se in un altro modo.

E poiché i Lions perdono, ma perdono solo ed esclusivamente con il cuore puro, riescono a vincere una sola partita. Quella contro chi si è lasciato corrompere da atteggiamenti da divo, chi ha usato il football per sovrastare gli altri. Lions vs Panthers. L'ultima partita. Ultima puntata. La sequenza è costruita per far salire il cuore in gola. Tra touchdown e placcaggi, è un calcio piazzato da quarantasei yard a farci sognare. Quello calciato dal kicker dei Lions, Landry, che da quattro stagioni ormai ci diverte con il suo atteggiamento da sfigato e da incrollabile simpaticone e che non si è mai lasciato abbattere. Landry sulle prime non riesce a calciare, ma il coach gli parla e gli mette la situazione in mano. A volte si possono fare cose straordinarie, se lo si vuole. E se si ha la giusta concentrazione.
Sia questa stagione che la terza finiscono con un calcio piazzato che al rallentatore centra i pali. A perdere sono sempre i Panthers. E in entrambi i casi si vince. Il calcio piazzato di Landry diventa una vera lezione per i Panthers. I blu di Dillon fissano il loro ex coach e capiscono che il valore aggiunto della squadra era lui, non i soldi di un magnate altezzoso né il braccio potente di un ragazzo arrogante. Il valore aggiunto è il cuore puro di Eric Taylor che di fronte alle avversità ha sempre portato avanti la sua battaglia. Solo una volta ha desistito, alla prima puntata, dando la sua squadra perdente a tavolino: e ha imparato che la partita non si abbandona mai, soprattutto quando non si ha più niente da perdere. E se si perde, quella sconfitta sarà comunque motivo di crescita.

Sembrerebbe una serie tutta basata su concetti melensi trattati magari in modo patetico. In realtà non è affatto così. A livello formale la serie fugge da quei facili meccanismi che porterebbero il tutto a essere patinato e fasullo. Come già spiegato in un post precedente, ci si affida al contrasto tra una regia sporca e traballante e una musica lirica e catartica che fa da sottotesto. Non si eccede, né si rischia di diventare banali.

Inoltre, va data menzione d'onore ad alcuni attori. In primo luogo, Zach Gilford, alias Matt Saracen: è un giovanissimo attore che Hollywood non deve lasciarsi scappare. Nella puntata The Son dà prova di essere un attore d'una maturità indescrivibile. Non è facile trovarne uno che sappia piangere durante un lungo primo piano senza stacchi, comunicando ogni singola emozione senza troppi orpelli. Tuttavia il re della serie è proprio il coach Taylor, interpretato da Kyle Chandler. La produzione ha azzeccato perfettamente l'attore; e Chandler è stato in grado di costruire il suo personaggio in modo intenso e articolato. Il coach Taylor è studiato nei minimi dettagli: penso al tic nervoso che ha quando serra di continuo le labbra o alla sua tipica posa - mani in fianco, testa all'indietro e occhiate micidiali (che si percepiscono bene nonostante gli occhiali da sole); Kyle Chandler, davvero, recita con ogni singolo muscolo del viso e del corpo. E soprattutto con gli occhi. Dalla rabbia, alla sgridata simpatica a quella violenta, al momento tenero con moglie e figlie, alla posa da figo, Chandler prima ancora che con la voce comunica con gli occhi. È molto raro trovare attori così bravi in una serie televisiva.

A questo punto non resta che attendere la quinta stagione che è ancora inedita anche negli Stati Uniti. Può accadere di tutto. Molte linee narrative sono chiuse. È rimasto un solo cliffhanger: quello che si riferisce alla sorte di Tim Riggins. Di fronte ad un nipotino adorato e ad un fratello che è come un padre, Tim farà una scelta tremenda, per mantenere salda la sua famiglia minacciata da guai seri.

Quindi, si aspetta. Convinti che, qualunque cosa accadrà, occhi puri e cuori limpidi sono sempre lì a lottare e a vincere.

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