PROIEZIONI NOTTURNE - Seducing Mr. Perfect
Premetto che sono un'amante appassionata del cinema coreano.
Premetto ancora che sono convinta non sia possibile distinguere e giudicare un film dalla sua provenienza geografica. Infatti amo il cinema coreano semplicemente perché, come tutte quelle cinematografie vive, vegete e con un sacco di soldi, produce film che possono essere godibili da chiunque.
Mi è capitato di vedere qualche settimana fa Seducing Mr. Perfect, film girato in Corea del Sud, una storia d'amore con tutti i crismi del genere (ed attori bellissimi). Molto divertente, molto godibile, per niente noioso, finisce al punto giusto e con un finale non banale. Storia molto simpatica che punta continuamente al sorriso. Se giungesse in Italia, questo film non potrebbe essere doppiato: i personaggi, in base all'occasione, parlano tra loro sia in inglese che in coreano; il protagonista maschile parla in inglese, quella femminile gli risponde in inglese sul lavoro, in coreano in ambito privato.
Non mi dilungherò su analisi che snaturerebbero il film. Perché il film deve innanzitutto investire i cinque sensi. Poi se ne può parlare (forse) razionalmente.
Prendo Mr Perfect come esempio per una riflessione che mi sta molto a cuore: l'universalità del testo filmico. L'errore che si fa, infatti, è attribuire valore ai film in base alla loro provenienza geografica e su questo (e non solo) il mercato della distribuzione gioca molto. Purtroppo ciò porta a relegare un film ad un particolare linguaggio culturale che però non gli appartiene. Mi spiego: il linguaggio dell'immagine è un linguaggio davvero universale. E' fatto di primi piani, campi lunghi, medi e lunghissimi, particolari e carrellate. In tutti i paesi del mondo un primo piano singifica che si sta inquadrando da vicino il viso dell'attore e che dobbiamo concentrarci sul crescendo delle sue emozioni. Non ci sono parole da tradurre, c'è solo da osservare minuziosamente quello che accade in quella data immagine. Per avvalorare questa mia ipotesi mi viene in aiuto ciò che è stata la storia del cinema: prima dell'avvento del sonoro i film erano muti. Gli spettatori godevano ugualmente dei film. Prima delle didascalie i film erano ancora "più muti". Le avanguardie cinematografiche degli anni Dieci e Venti hanno sperimentato molto a tal proposito. Ma c'è stato un breve periodo in cui è avvenuto qualcosa di straordinario. Nel 1927 irrompe prepotentemente il sonoro, con il film The Jazz Singer. La tecnologia sonora era un'attrattiva senza pari per il pubblico che si trovava a vivere il cinema in un momento in cui ancora il doppiaggio non era stato inventato e in cui sussistevano enormi problemi tecnici per registrare e montare il suono. Tuttavia i film con il sonoro (con qualunque sonoro) dovevano essere esportati. E qual era la soluzione? Nessuna: gli spettatori per un certo periodo di tempo hanno guardato film in lingua originale, in ogni angolo del mondo, dando vita a una situazione davvero bellissima, per quel che mi riguarda. All'epoca, nel passaggio da muto a sonoro, il cinema aveva ancora un linguaggio molto più "visivo" che "sonoro" e quindi guardare i film anche con l'audio originale non comportava troppi problemi. Poi, quando i dialoghi hanno iniziato ad essere cruciali, ecco che si è cercato di sviluppare un sistema di traduzione e doppiaggio.
Quello che voglio dire è che la storia del cinema ci racconta che il linguaggio del cinema è universale, proprio perché l'immagine è intraducibile.
Tuttavia, su vari fronti, si cerca di relegare un linguaggio universale a linguaggio culturale, dimenticando però che ogni singolo film non è girato dal paese "di origine" ma da un autore che ha un background culturale e principi ispiratori propri.
Perciò amo il cinema di Kim Ki-duk, Park Chan-wook, Zhang Ymou, Hayao Miyazaki, amo i film ben girati, anche quelli di registi artigiani che puntano solo sul genere. Amo questo perché mi ricorda l'universalità della comunicazione cinematografica. Inoltre, ricondurre un film alla sua appartenenza geografica fa sì che quel film non venga mai distribuito in determinati punti del globo. E, spesso, i film, pur distribuiti in Europa, fanno una fine terribile (penso ancora sconcertata al taglio "europeo" che è stato fatto all'ultima sequenza di Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera di Kim Ki-duk, scena che io, per fortuna, ho potuto vedere).
Proprio per evitare tali scempi, sarebbe ora che il cinema possa attraversare liberamente qualunque frontiera.
Inutile dirlo, ma Seducing Mister Perfect non l'ho visto né al cinema né su supporto digitale originale...
Premetto ancora che sono convinta non sia possibile distinguere e giudicare un film dalla sua provenienza geografica. Infatti amo il cinema coreano semplicemente perché, come tutte quelle cinematografie vive, vegete e con un sacco di soldi, produce film che possono essere godibili da chiunque.
Mi è capitato di vedere qualche settimana fa Seducing Mr. Perfect, film girato in Corea del Sud, una storia d'amore con tutti i crismi del genere (ed attori bellissimi). Molto divertente, molto godibile, per niente noioso, finisce al punto giusto e con un finale non banale. Storia molto simpatica che punta continuamente al sorriso. Se giungesse in Italia, questo film non potrebbe essere doppiato: i personaggi, in base all'occasione, parlano tra loro sia in inglese che in coreano; il protagonista maschile parla in inglese, quella femminile gli risponde in inglese sul lavoro, in coreano in ambito privato.
Non mi dilungherò su analisi che snaturerebbero il film. Perché il film deve innanzitutto investire i cinque sensi. Poi se ne può parlare (forse) razionalmente.
Prendo Mr Perfect come esempio per una riflessione che mi sta molto a cuore: l'universalità del testo filmico. L'errore che si fa, infatti, è attribuire valore ai film in base alla loro provenienza geografica e su questo (e non solo) il mercato della distribuzione gioca molto. Purtroppo ciò porta a relegare un film ad un particolare linguaggio culturale che però non gli appartiene. Mi spiego: il linguaggio dell'immagine è un linguaggio davvero universale. E' fatto di primi piani, campi lunghi, medi e lunghissimi, particolari e carrellate. In tutti i paesi del mondo un primo piano singifica che si sta inquadrando da vicino il viso dell'attore e che dobbiamo concentrarci sul crescendo delle sue emozioni. Non ci sono parole da tradurre, c'è solo da osservare minuziosamente quello che accade in quella data immagine. Per avvalorare questa mia ipotesi mi viene in aiuto ciò che è stata la storia del cinema: prima dell'avvento del sonoro i film erano muti. Gli spettatori godevano ugualmente dei film. Prima delle didascalie i film erano ancora "più muti". Le avanguardie cinematografiche degli anni Dieci e Venti hanno sperimentato molto a tal proposito. Ma c'è stato un breve periodo in cui è avvenuto qualcosa di straordinario. Nel 1927 irrompe prepotentemente il sonoro, con il film The Jazz Singer. La tecnologia sonora era un'attrattiva senza pari per il pubblico che si trovava a vivere il cinema in un momento in cui ancora il doppiaggio non era stato inventato e in cui sussistevano enormi problemi tecnici per registrare e montare il suono. Tuttavia i film con il sonoro (con qualunque sonoro) dovevano essere esportati. E qual era la soluzione? Nessuna: gli spettatori per un certo periodo di tempo hanno guardato film in lingua originale, in ogni angolo del mondo, dando vita a una situazione davvero bellissima, per quel che mi riguarda. All'epoca, nel passaggio da muto a sonoro, il cinema aveva ancora un linguaggio molto più "visivo" che "sonoro" e quindi guardare i film anche con l'audio originale non comportava troppi problemi. Poi, quando i dialoghi hanno iniziato ad essere cruciali, ecco che si è cercato di sviluppare un sistema di traduzione e doppiaggio.
Quello che voglio dire è che la storia del cinema ci racconta che il linguaggio del cinema è universale, proprio perché l'immagine è intraducibile.
Tuttavia, su vari fronti, si cerca di relegare un linguaggio universale a linguaggio culturale, dimenticando però che ogni singolo film non è girato dal paese "di origine" ma da un autore che ha un background culturale e principi ispiratori propri.
Perciò amo il cinema di Kim Ki-duk, Park Chan-wook, Zhang Ymou, Hayao Miyazaki, amo i film ben girati, anche quelli di registi artigiani che puntano solo sul genere. Amo questo perché mi ricorda l'universalità della comunicazione cinematografica. Inoltre, ricondurre un film alla sua appartenenza geografica fa sì che quel film non venga mai distribuito in determinati punti del globo. E, spesso, i film, pur distribuiti in Europa, fanno una fine terribile (penso ancora sconcertata al taglio "europeo" che è stato fatto all'ultima sequenza di Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera di Kim Ki-duk, scena che io, per fortuna, ho potuto vedere).
Proprio per evitare tali scempi, sarebbe ora che il cinema possa attraversare liberamente qualunque frontiera.
Inutile dirlo, ma Seducing Mister Perfect non l'ho visto né al cinema né su supporto digitale originale...
Commenti
Da una parte v’è la totale schizofrenia a cui è preda la distribuzione cinematografica che con sempre maggior frequenza rende lo spettatore prono a scelte enigmatiche se non addirittura ermetiche.
Nessun filo rosso sembra lasciar traccia come linea di sutura tra una scelta distributiva e l’altra.
Se vogliamo, proprio il non sense pare emergere con vigore da questo magma.
Dall’altra v’è la difficoltà da parte di molti (anche d’insospettabili) di comprendere l’arte cinematografica come linguaggio in cui il dialogo è elemento fra tanti che va a comporre una più vasta struttura.
Questo a mio avviso è un malinteso forse innescato dal timore che l’immagine nuda provoca in chi vede l’interpretazione di quel che passa davanti all’occhio come disciplina superflua se non addirittura fastidiosa.
Interpretazione, s’intende, sia frutto di ragionamento razionale o di sensibilità propria.
Entrambi i punti che sopra ho brevemente esposto concorrono senza dubbio a creare una certa confusione nel trattare l’oggetto cinema.
Infine, m’hai incuriosito non poco sul finale di Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera.
Anche se non sono nuovo a casi di rimaneggiamento simili, ammetto che non ero a conoscenza di un intervento sul finale di questo film.
Qualche dubbio m’era sorto come sempre quando ho daffare con un’opera d’oriente che va a toccare quegli argomenti così sensibili qui in occidente.
Potresti in poche righe far cenno a cosa è stato modificato?
Tristam Strauss
Non posso che essere onorata. Onoratissima.
Dunque, a proposito di Kim Ki-duk. Il film in Europa (è testimone il dvd uscito in Italia) finisce con l'episodio dell'inverno, esattamente nel momento in cui il protagonista si lega alla vita una pietra e scala il monte.
In verità, come da titolo, il film finisce con l'episodio della primavera, che mostra il protagonista della storia - divenuto finalmente "maestro" - alle prese con un piccolo "allievo". L'ultima sequenza ricalca esattamente la prima; il nuovo bambino, proprio come il bambino dell'inizio del film, si diverte a torturare gli animali. Il film sfuma proprio sulla tortura, lasciando solo all'immaginazione dello spettatore la punzione che il maestro riserverà all'allievo: infatti ormai è chiara la ciclicità a cui i personaggi sono sottoposti.
Il motivo preciso per cui tale scena è stata tagliata è poco chiaro. Ho sentito dire che gli animalisti hanno fatto la loro parte poiché, a differenza della prima sequenza in cui il bimbo era punito per le torture agli animali, nella sequenza finale la punizione non c'è.
Non so cosa sia avvenuto esattamente, è molto più probabile che la motivazione sia culturale. Il film, tagliato, ha assunto un significato banale, che non sconvolge troppo le platee occidentali. Integro, invece, non raggiunge un equilibrio preciso o, meglio, il suo significato percorre nuovi orizzonti problematici.
Grazie ancora per il tuo contributo, davvero preziosissimo per me.
Veronica
Ne approfitto per porgere i miei più cordiali saluti all'artista che ci ha donato alcune delle perle più belle della storia delle nuvole parlanti.